Nel mondo dello sport tiene banco la discussione sull’impatto che l’inevitabile rimodulazione dei calendari ATP e WTA, in particolar modo lo slittamento già annunciato del Roland Garros con inizio il 20 settembre. Particolarmente dura è stata la reazione ufficiale degli organizzatori della Laver Cup, tra i cui fondatori c’è Roger Federer, mega-torneo esibizione a squadre. I problemi reali, gli impatti più gravi e pesanti dello stop dei tornei e del post crisi, peseranno in maniera decisamente più gravosa sulle spalle dei tennisti che non occupano le posizioni di rilievo nel ranking e non partecipano ai tornei più importanti del circuito.
Ne abbiamo parlato, in esclusiva, con Alessandro Mastroluca, giornalista di Fanpage e telecronista per Super Tennis TV.
Si parla molto dell'impatto dello stop sui grandi del tennis mondiale, ma loro guadagnano cifre talmente grandi che comunque non ne soffriranno più di tanto. Che impatto avrà, invece, su tennisti di secondo piano?
“Chiaramente l’impatto sui tennisti che non hanno la classifica per frequentare i tornei più importanti, a livello di Slam, sarà indubbiamente maggiore perché già hanno in partenza un guadagno stagionale più basso. Questo si aggiunge a un rischio più ampio per l’attività del tennis mondiale, poiché non sappiamo se in futuro i tornei minori, i Challenger o i Futures, avranno ancora le possibilità economiche per essere inseriti in calendario.
Se, per esempio, alcuni tornei venissero cancellati nel 2021, questi tennisti avrebbero meno opportunità per giocare. Va, inoltre, considerata tutta l’attività a livello nazionale, quella dei coach o dei circoli in cui i tennisti si allenano. In fondo sui tennisti ricade una serie di problematiche che sono simili a quelle dei normali lavoratori che non sono sicuri di mantenere il loro posto durante questa crisi e, soprattutto, dopo”.
In media, quanto guadagna un tennista di secondo piano, diciamo dalla posizione 100 in giù? Quale può essere il danno economico per questo stop?
“Se stiamo tra il numero 100 e 150 parliamo di cifre che ruotano intorno ai 200 mila dollari di montepremi di tornei l’anno: ovviamente, più si scende nella classifica e più si scende anche nella scala di guadagni. A questi soldi, però, vanno tolti le spese per l’allenatore, per lo staff e per le trasferte che, nei casi di giocatori con quella classifica, sono ingenti perché nel circuito dei Challenger o dei Futures si vanno a giocare tornei in realtà geografiche molto lontane e difficili da raggiungere pur di ottenere punti.
Parliamoci chiaro, i giocatori che riescono a stare in pari sono più o meno i primi 150 del mondo, gli altri sono sostanzialmente in perdita e, per non rimetterci, devono rinunciare a qualcosa, magari devono incordarsi le racchette da soli e non usare gli incordatori forniti dai tornei, iscriversi a tornei piccoli, andare a dormire dalle famiglie del posto per non pagarsi l’albergo e altre situazioni di questo genere. Qualora la pausa si allungasse e ci fossero conseguenze future nel numero e nella quantità di tornei rimasti in calendario quando la bufera sarà passata, le conseguenze rischiano di essere tante e per i giocatori non sarà un momento facile”.
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Secondo te, ci potrebbe essere qualcuno costretto dalla crisi a lasciare il tennis per cercare un altro lavoro?
“Non è una prospettiva irrealistica: accade oggi ed è accaduto già prima della crisi che ci fossero giocatori che hanno preso questa decisione. Si tratta di coloro che non sono riusciti a sfondare in singolare e non neanche a riciclarsi in doppio, come tanti, invece, hanno fatto con gran successo, e hanno capito che era meglio cercarsi un’altra strada, chiudere con una carriera in perdita.
A un certo punto il costo di una carriera ne tennis diventa obiettivamente non sostenibile e, quindi, si sceglie una strada di contenimento: si rinuncia al sogno quando si è messi di fronte a una realtà spiacevole. La contrazione economica, che ci sarà a tutti i livelli e in tutto il mondo, finirà per coinvolgere anche il tennis perché ci sarà una contrazione delle sponsorizzazioni, legate alla chiusura di alcune aziende e alla revisione dei contratti con le televisioni che non è detto paghino le stesse cifre di adesso per i diritti”.
*La foto di apertura dell'articolo è di Dita Alangkara (AP Photo).