Quanto si sta americanizzando il calcio in Italia? E' una domanda che ormai, da anni, ha cominciato a riecheggiare nella grancassa di analisti finanziari e addetti ai lavori. Che, essenzialmente, identificano un intento principale da parte degli imprenditori d'oltreoceano: acquistare un brand per essere riconoscibili in tutto il mondo.
Questo, secondo loro, sarebbe il trampolino utile per costruire (sia in termini metaforici che, soprattutto, edili), puntare sul marketing, attrarre ulteriori investitori. Fare soldi, insomma. Ma, ormai appare acclarato, la mentalità imprenditoriale statunitense va a scontrarsi, muro contro muro, con quella italiana.
Se alcuni imprenditori del Nuovo Mondo (vedi Malcom Glazer col Manchester United) sono riusciti a sciogliere le briglie degli investimenti finanziari, scatenando tuttavia le ire dei tifosi britannici così - giustamente - tradizionalisti, nel Bel Paese è accaduto l'esatto opposto: nonostante forti investimenti iniziali, che li hanno portati ad essere acclamati (almeno in un primo momento) dai sostenitori di questa o quella squadra, eccoli scontrarsi contro la burocrazia, le beghe da carte bollate, l'impossibilità di realizzazione di nuovi, funzionali e ricchi impianti privati, bloccati da questa o quella amministrazione.
E' successo a James Pallotta a Roma e alla guida della Roma, sta accadendo ora per Rocco Commisso, inizialmente plaudito come salvatore della patria della Fiorentina e che oggi sta affrontando le prime, numerose critiche dopo una carenza di risultati e le difficoltà incontrate ogni qual volta si parli di "nuovo stadio", dimenticandosi del "Franchi".
Pallotta, Commisso, Tacopina e l'"italian blood"
Facciamo ordine: Pallotta imprenditore gestore di fondi finanziari, papà teramano e mamma di Canosa di Puglia. Commisso nato direttamente in Calabria, a Marina di Gioiosa Ionica, prima di migrare negli States e diventare un magnate della televisione via cavo (Mediacom, oggi sponsor delle "Viola").
E se "Avvocato", nel calcio italiano del secolo scorso faceva rima con Gianni Agnelli, oggi è sinonimo di Joseph Tacopina, detto Joe, principe del foro di New York e, anch'egli, come tradisce il cognome, di diretta discendenza tricolore, nato a Brooklyn da papà Cosmo del quartiere capitolino di Monte Mario e mamma Josephine (nata Oliva), originaria invece di Montelepre, dalle parti di Palermo.
Dal sogno americano all'incubo burocratico
Si esprimono tutti, chi più e chi meno, con un italiano incerto che li tratteggia in termini caricaturali come "zii d'America", nel loro sangue scorre ancora la passione per quello che - tra le stelle e tra le strisce - è stato ribattezzato "soccer". Ma, come detto, sono mossi dall'illusione che il sogno americano si possa traslare, oggi, nel paese abbandonato proprio per inseguirlo, il sogno americano.
Arrivati qui, ovviamente, scoprono che non è così. E se Commisso, nell'ultimo viaggio in Italia, si è fortemente amareggiato di un "sistema Italia" fatto di impedimenti e continue critiche, e Pallotta abbia passato la mano alla Roma, presente nelle quote vincente Europa League al connazionale (meno vistoso e nemmeno di discendenze italiche) Dan Friedkin, il percorso di Joe Tacopina continua a incuriosire, apprestandosi a fare l'ingresso societario, in questi giorni, nella sua nuova squadra italiana, il Catania.
Il lungo viaggio dell'avvocato
Un minimo di "recap" è d'uopo: l'avvocato Tacopina arriva in Italia all'epoca del passaggio della Roma nelle mani del trader bostoniano Thomas DiBenedetto (che in America ha perso lo spazio tra "Di" e "Benedetto", ma la cui famiglia arriva dalla provincia di Salerno), entrando nella dirigenza della squadra tifata dal padre Cosmo. Che però lascia ben presto, per mettersi in affari con l'imprenditore italo-canadese (e tutto torna) del ramo caseario Joey Saputo per acquistare il Bologna.
I due, tuttavia, arrivano ai ferri corti e Tacopina riesce ad ottenere una buonuscita con la quale avvia - come si è spesso mormorato nel capoluogo emiliano -, nella costruzione di una cordata economica per resuscitare il Venezia (città dall'eco di pari lustro a Roma, in tutto il mondo, specialmente tra gli americani) portandolo dalla D alle soglie della Serie A. Prima con Giancarlo Favarin e poi con Filippo Inzaghi.
A fermare gli arancioneroverdi, a giugno 2018, la semifinale con il Palermo. Poco tempo fa, però, Tacopina lascia, non prima di affidare i lagunari nelle mani del connazionale Duncan Niederauer, altro uomo d'affari newyorchese.
Ora il Catania e la Sicilia, che l'avvocato italo-americano aveva "sfiorato" presentando Frank Cascio (businessman di origini palermitane) a Maurizio Zamparini: la fumata, all'epoca, fu nera con il pasticcio-Baccaglini e Palermo, si chiuse con un nulla di fatto.
Ora, per Tacopina, ecco il Catania, altra piazza attualmente impantanata nelle "secche" della Serie C e vogliosa di una pronta risalita nel calcio che conta. Una tifoseria caldissima, una città suggestiva e conosciutissima, un centro di allenamento - il Torre del Grifo Village - super: il matrimonio funzionerà? E sarà davvero l'ultima e definitiva stazione del lungo viaggio in Italia dell'avvocato Tacopina?
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*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Luigi Costantini e Carmelo Imbesi.