C’era una volta il dodicesimo. Ruolo comodo: posto assicurato in panchina, radiolina all’orecchio e - all’occorrenza - copertina sulle gambe. L’intensità del calendario calcistico ha restituito dignità al secondo portiere, regalando al terzo il ruolo di attore non protagonista.
In principio fu Valerio Fiori, al tramonto del secolo scorso. Dopo una dignitosa carriera tra Lazio, Cagliari,Cesena e Piacenza, decise di appendere i guanti al chiodo accettando il ruolo di terzo portiere al Milan: stipendio assicurato, premi partita, un posto in prima fila nelle sfide di cartello in Italia e in Europa. Valerio Fiori da San Cleto all’epoca aveva trent’anni, e non sapeva minimamente che sarebbe diventato il capostipite di una corporazione, quella del terzo portiere.
Con il Milan giocò solo due partite, la prima il 24 maggio 2003, a Piacenza: è l’ultima giornata di campionato, in palio non c’è nulla, quattro giorni dopo - a Manchester - è in programma la finale di Champions League contro la Juventus. Il suo secondo incontro lo gioca in Coppa Italia, contro la Sampdoria, il 18 dicembre 2003: meno di tremila spettatori per il ritorno degli ottavi: segna - come al solito - Pippo Inzaghi.
Due presenze in nove stagioni. Ma mette in bacheca uno scudetto, una Coppa Italia, una Supercoppa italiana, due Champions League, due Supercoppe UEFA e una Coppa del Mondo per club. Gli sarebbe potuta andare peggio.
La figura del terzo portiere compare alla fine degli anni ’90: prima di allora è il ruolo che appartiene di diritto al portiere titolare della squadra Primavera. Ma, a poco a poco, gli impegni aumentano, il calendario si arricchisce di impegni, le Coppe Europee cambiano formula inserendo la fase a gironi che contempla maggiori partite in programma.
I terzi nerazzurri
Uno specialista del ruolo è stato Paolo Orlandoni, terzo storico portiere dell’Inter. La Lazio - nell’anno successivo al secondo scudetto - lo prende in prestito dalla Reggina: gioca una sola partita contro il Napoli, quella che costa la panchina a Sven Goran Eriksson. La carriera non decolla, torna in B con il Piacenza e gioca qualche stagione prima di tornare all’Inter, squadra che lo ha cresciuto nel proprio vivaio. E qui resta sette stagioni, giocando in totale sei partite.
Ha poco spazio, ma nella notte in cui l’Inter ipoteca la finale di Champions League contro il Barcellona a San Siro, lui è in panchina. Ha vinto cinque campionati, quattro Supercoppe italiane, tre Coppe Italia, una Champions League e una Coppa del Mondo per club: potrà raccontarlo ai nipoti con piena soddisfazione.
Percorso simile per Tommaso Berni, che a 31 anni decide che può anche smettere di girare l’Italia dopo aver albergato a Terni, Roma (sponda Lazio) Salerno, Braga, Genova (sponda Samp) e Torino (sponda granata); anche lui arriva ad Appiano Gentile, ma è mano fortunato di Orlandoni perché non riesce a collezionare neanche una presenza con la maglia dell’Inter. In compenso, nella stagione 201972020, si è fatto espellere due volte dalla panchina, contestando l’operato dell’arbitro di turno.
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Storie da ultima giornata
Nella Juventus, la figura del terzo portiere è stata rappresentata per anni da Carlo Pinsoglio: cresciuto nel vivaio juventino, come Orlandoni è stato a lungo tempo in prestito per poi ritornare alla casa madre. Da terzo portiere ha vinto tre scudetti, una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana.
Inserito nella famosa "Lista A", finora ha giocato tre partite con la Juventus, tutte in programma nell’ultima giornata di campionato: è accaduto nel 2018, nel 2019 e nel 2020. I parenti sono avvisati, si è già prenotato per il 2021, il 23 maggio in programma c’è Bologna-Juventus, incontro che si preannuncia da gol per le scommesse.
Prima di lui - a rinverdire le gesta di Massimo Piloni e Giancarlo Alessandrelli - era arrivato alla Juventus il brasiliano Rubinho: quattro scudetti consecutivi, due Supercoppe italiane e due Coppe Italia. In bacheca ha collezionato più trofei che presenze che - al termine delle quattro stagioni juventini - sono miseramente due, e come Carlo Pinsoglio, arrivano in concomitanza con l’ultima di campionato: nel 2013 scende in campo contro la Sampdoria, l’anno successivo contro il Cagliari. A essere onesti, entra a partita in corso, senza mai collezionare una presenza da titolare.
Il terzo più forte
Anche la Roma nel corso degli ultimi venti anni ha avuto figure più o meno significative che hanno ricoperto il ruolo di terzo portiere. Il rumeno Bogdan Lobont arriva nella capitale nel 2009, e resta a Trigoria nove stagioni mettendo insieme 26 presenze: è fatale la ventisettesima che corrisponde al 26 maggio 2013. Quella resta la sua ultima partita in giallorosso, pur continuando a far parte della rosa romanista fino al 2018.
Ben altra storia è quella del brasiliano Julio Sergio Bertagnoli che arriva nella capitale quando i portieri non mancano: il primo è Doni, poi c’è Arthur, e poi Lobont. Infine c’è lui, che Spalletti decide di gettare nella mischia contro la Juventus. La Roma perde, Spalletti si dimette e Ranieri lo conferma. Da questo momento in poi Julio Sergio si prende a pieno titolo il posto da titolare.
La Roma corre, vola, sfiora lo scudetto fin quando Pazzini non rompe l’incantesimo. Senza colpe e senza gloria, Julio Sergio Bertagnoli continua a essere il titolare nella stagione seguente, fin quando una serie di infortuni compromettono la sua tenuta fisica. Julio Sergio se ne va dalla capitale dopo aver accarezzato un sogno: in bacheca non è rimasto nulla, ma nell’animo ha la convinzione di essere stato - come amava ripetergli il suo tecnico Spalletti - il terzo portiere più forte del mondo.
*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Mark J. Terrill e Michael Dwyer.