Se la Roma per i suoi tifosi è magica, il famoso «anno del Flaminio» raggiunse la quintessenza di questa magia. Era la stagione 1989/90, quella che avrebbe fatto da apripista all’attesissimo Mondiale di Italia '90. L’Olimpico di Roma, lo stadio prescelto per la finale del torneo più prestigioso, era oggetto di robusti lavori di ristrutturazione che lo rendevano impraticabile.
Così le due squadre capitoline traslocarono per l’intera stagione allo Stadio Flaminio, un impianto progettato negli anni 50 dall’architetto Antonio Nervi e costruito sull’area del preesistente Stadio Nazionale. Uno stadio per il calcio, che sorge tra i Monti Parioli e il fiume Tevere: senza pista d’atletica, con una capienza modesta in rapporto alla popolarità delle due compagini romane, ma capace di trasformarsi in un vero e proprio catino del tifo, dove squadra e pubblico si mescolano fino a diventare un inesorabile tutt’uno.
Il libro che mancava
Ancora oggi il ricordo di quella stagione è rivestito di un alone mitico. I tifosi raccontano le gesta della Lupa sul manto verde del Flaminio gonfiando il petto di un orgoglio che non è dato da un trofeo vinto, ma da un sentimento romantico che va oltre la bacheca del club. Fino ad oggi, tuttavia, le rievocazioni erano affidate soltanto al racconto orale, alle pur gradevoli foto, a qualche articolo e a qualche intervista dei protagonisti.
Mancava un libro che potesse raccogliere cronistoria e, soprattutto, emozioni di quella stagione. A rimediare alla mancanza ci ha pensato ora Daniele Santilli, romano e romanista, da quindici anni dirigente di un’importante società di calcio del panorama dilettantistico laziale. Il suo «L’anno del Flaminio» (ed. sport.doc, 15,00euro), in uscita il 22 ottobre, è il volume che mancava nella libreria del tifoso romanista.
Nostalgia del calcio romantico
«La decisione di scrivere il libro è maturata spontaneamente», racconta Santilli. «Ho iniziato quasi per passatempo. In un periodo storico in cui la Roma regala meno emozioni rispetto al passato, la nostalgia per il calcio romantico degli anni 80 e 90 mi ha spinto a riordinare le idee su quella stagione, a buttare giù qualche pagina che potesse raccontarla». Santilli più scriveva e più aveva il desiderio di approfondire, di arricchire il racconto di particolari. È stato aiutato in questo da una peculiare dinamica psicologica.
«In quella stagione avevo 13 anni, andavo allo stadio spesso. Ebbene, i ricordi di quei pomeriggi passati ad assistere alle partite della Roma sono molto più nitidi rispetto a quelli di partite più recenti, anche della stagione passata: ho in mente perfettamente il coro che fu dedicato al portiere dell’Ascoli in una partita di Coppa Italia di quell’anno, ma magari ho già dimenticato i marcatori di una vittoria della Roma di qualche mese fa. A quell’età vivi il tifo visceralmente e noti ogni particolare che rimane impresso nella mente».
Il rigore sbagliato da Baggio
Di particolari il libro di Santilli è una summa. Ma ce n’è uno che più d’altri testimonia il clima che aleggiava sullo Stadio Flaminio durante le partite della Roma. Santilli vi dedica un capitolo: era l’8 aprile 1990, la Domenica delle Palme, i giallorossi ospitavano una Fiorentina alla ricerca di punti salvezza.
A dieci minuti dalla fine del secondo tempo l’arbitro Lo Bello concede ai viola un calcio di rigore; dagli undici metri va lo specialista Roberto Baggio. «Non svelo i dettagli che scoprirete leggendo il libro, ma posso anticipare soltanto che il rigore fu palesemente fatto sbagliare dai tifosi romanisti - racconta Santilli -. Il peso che può avere uno stadio in quella circostanza fu molto evidente».
La magia
Il tiro del Divin Codino esaltò un vecchio saltimbanco come Franco Tancredi. Fu, quello del portiere del secondo scudetto romanista, il suo ultimo rigore parato in carriera. Ma «l’anno del Flaminio» è pieno di episodi topici. Eppure non iniziò sotto i migliori auspici: l’allenatore, l’anziano Gigi Radice, fu accolto con scetticismo dalla stampa, la campagna acquisti (che portò nella capitale Cervone, Berthold e Comi) ritenuta insufficiente. Fu il cuore di quella squadra a dipanare le nubi e accendere una scintilla ammaliante.
Santilli sottolinea che «fu l’unico anno in età moderna che la Roma giocò in uno stadio solo per il calcio, fu l’ultimo anno in cui il presidente Dino Viola iniziò e terminò una stagione perché quella successiva purtroppo non la finì, ci fu l’ultimo gol di Bruno Conti, il primo di Voeller e Giannini in un derby, il primo rigore parato da Cervone, nonché la prima stagione di un ragazzino di nome Francesco Totti tesserato nelle giovanili della Roma».
Insomma, fu un anno magico, che Santilli ha ricordato anche con l’aiuto dei suoi protagonisti: Nela, Desideri, capitan Giannini, «molto legati a quella stagione e felici di ricordarla». La prefazione è di Ruggero Radice, figlio dell’indimenticabile mister di quella Roma coriacea che arrivò sesta in un campionato italiano così pieno di stelle da sembrare una sorta di Mondiale per club. Bei tempi, che «L’anno del Flaminio» ci fa piacevolmente rivivere.
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*Il testo dell'intervista è di Federico Cenci; la foto di Claudio Luffoli (AP Photo).