Per quanto ora possa sembrare lontana, con la Premier League e la Liga a farla da padroni, c’è stata un’epoca in cui la Serie A era davvero la terra promessa del calcio. Quel periodo a cavallo tra anni Ottanta e anni Novanta in cui le squadre italiane facevano incetta di coppe europee e in cui ogni calciatore al mondo sognava di mettersi alla prova nel campionato tricolore.
Anni in cui persino quelle che oggi definiremmo “provinciali” potevano permettersi di mettere in campo campioni di uno spessore inimmaginabile. E quindi succedeva che il tre volte Pallone d’Oro Sudamericano Zico indossasse la maglia dell’Udinese o che El Principe Francescoli diventasse…il Re di Cagliari.
Una storia al riguardo che sembra spesso dimenticata è però quella della Reggiana. Nel 1993 la squadra emiliana è appena stata promossa in Serie A e viene acquistata da Franco Dal Cin, che parte con l’idea di costruire uno stadio di proprietà (il Giglio, poi Città del Tricolore) e porta a Reggio Emilia un paio di calciatori niente male.
In porta c’è un futuro campione del mondo, perché Claudio Taffarel, dopo aver giocato nel Parma di Scala, passa la stagione che porta a USA ’94 e che vede il Brasile strafavorito per le scommesse calcio, proprio a difendere i pali dei granata. E soprattutto, davanti c’è un vice Pallone d’Oro, campione d’Europa e sogno proibito di moltissimi club fino a qualche anno prima: il portoghese Futre.
Quando arriva in Italia, Jorge Paulo Dos Santos Futre, classe 1966, non ha decisamente bisogno di presentazioni. Inizi di carriera con lo Sporting Lisbona, poi il passaggio al Porto con cui vince da protagonista la Coppa dei Campioni 1986/87, quella di Madjer e del Tacco di Allah.
Nello stesso anno arriva dietro soltanto al milanista Gullit nella classifica del Pallone d’Oro, una circostanza per cui negli anni a seguire Futre ha spesso, tra il serio e il faceto, accusato Berlusconi di aver influito sulle votazioni. Dopo il trionfo continentale si trasferisce all’Atletico Madrid, dove conquista due volte la Copa del Rey, ma non riesce a scalfire il predominio del Barcellona di Cruijff.
Il 1993 per Futre è un anno particolarmente movimentato. In inverno torna in Portogallo, al Benfica, causando la rabbia tra i tifosi dello Sporting, a cui aveva promesso qualche settimana prima che avrebbe nuovamente indossato la maglia biancoverde. Giusto il tempo di vincere la Coppa del Portogallo, che arriva un’altro trasferimento. Tapie lo porta al Marsiglia fresco campione d’Europa, ma lo scandalo che coinvolge il club transalpino convince il portoghese che è meglio guardare altrove.
E quindi, nel novembre di quello stesso anno, Futre fa il suo esordio in Serie A, con la maglia della Reggiana, contro la Cremonese. Neanche il tempo di scaldare i motori che il talento si fa subito notare: alla sua prima partita nel campionato italiano, il lusitano segna immediatamente dopo una serpentina nell’area avversaria. Peccato che quella rimarrà l’unica presenza stagionale per lo sfortunato fantasista.
Un durissimo intervento da dietro di Pedroni costa il rosso al difensore della Cremonese e forse l’intera carriera a Futre. Il portoghese è costretto a uscire e la diagnosi è di quelle terribili: rottura del legamento rotuleo del ginocchio destro. Una mazzata pesantissima, tanto per il calciatore quanto per la squadra, che però riesce a rimanere comunque in Serie A. Il quattordicesimo posto, l’ultimo che garantisce la salvezza, permette di sperare in un ritorno in grande stile del numero 10.
La realtà però dice altro. Futre rimette piede in campo nel settembre 1994, ma non è più lo stesso giocatore. L’infortunio lo limita ad una manciata di presenze e due reti, ed a inizio novembre si ferma di nuovo. La Reggiana intanto, senza il suo talento e senza Taffarel, che dopo il mondiale vinto è tornato in Brasile, scivola sempre di più in classifica.
Non basta neanche il secondo ritorno di Futre, che gioca altre sette partite consecutive, stavolta rimanendo sempre in campo per tutti i novanta minuti e segnando altri due gol. La sua stagione 1994/95 si conclude con 12 presenze e 4 reti, ma anche con l’inevitabile retrocessione della Reggiana. L’avventura italiana, però, non è finita.
Il finale di carriera
A chiamare è Silvio Berlusconi, proprio quello che, a parere di Futre, gli ha strappato il Pallone d’Oro 1987. Il portoghese arriva al Milan di Capello, unico e incontrastato favorito per le scommesse Serie A, ma anche l’avventura in rossonero non regala gioie, anzi.
Il tecnico friulano non lo convoca praticamente mai, escluso un match con il Parma a marzo 1996. E l’unica presenza arriva nell’ultima partita di campionato, per uno scherzo del destino, di nuovo contro la Cremonese. Futre gioca 79 minuti nel 7-1 dei campioni d’Italia ai grigiorosa, per poi essere sostituito dall’altro talento sfortunato della rosa, Roberto Baggio.
È l’addio di Futre al calcio italiano. Nella stagione successiva passa al West Ham, ma anche in Premier League ha poca fortuna. Gli infortuni al ginocchio continuano a martoriarlo e non lo lasciano in pace neanche quando prova a tornare all’Atletico Madrid. L’ultima annata prima del prematuro ritiro, ad appena 32 anni, la gioca in Giappone, allo Yokohama Flugels.
L’unico momento di gloria dopo l’infortunio, il portoghese se lo prende da dirigente: quando l’Atletico Madrid retrocede in Segunda Division, Futre diventa DS dei Colchoneros ed è sotto la sua guida che Mono Burgos e compagni tornano, da favoriti per le scommesse sportive nella massima serie.
Una piccola soddisfazione dopo una carriera che poteva regalare molto di più a Futre, colpito da una sfortuna senza precedenti. Ma il portoghese resta comunque, almeno nel cuore degli appassionati italiani, uno dei simboli dell’era d’oro del pallone di casa nostra. Di quegli anni in cui persino una neopromossa poteva acquistare un grande campione straniero e in cui nei campi di provincia giocavano…i Palloni d’Oro.
*L'immagine di apertura dell'articolo è di Carlo Fumagalli (AP Photo).