17 gennaio 1999, ultima giornata di andata del campionato di Serie A. A San Siro arriva il Perugia, che affronta il Milan di Zaccheroni. A tempo ormai scaduto l’arbitro fischia un rigore per gli ospiti, realizzato dal giapponese Nakata. A riprendere il pallone va Bucchi, che però viene travolto da una vera e propria clothesline in pieno stile wrestling. A dargliela è Sebastiano Rossi, portiere rossonero, che viene espulso.
Pochi possono immaginare che quello sarà forse uno dei momenti decisivi del campionato e che sta per iniziare la carriera ad altissimi livelli di un ragazzo destinato a diventare un volto notissimo del calcio italiano. Per i minuti di recupero va in porta Christian Abbiati, classe 1977.
Il ragazzo, nato ad Abbiategrasso 22 anni prima, è all’esordio in Serie A ma non è poi un novellino. È cresciuto in una serie di piccole squadre lombarde prima di finire a Monza. Proprio con la maglia dei brianzoli gioca la sua prima partita in C1 nella stagione 1994/95, per poi passare in prestito al Borgosesia per un anno tra i dilettanti.
Al ritorno alla casa madre diventa il titolare, nonché uno dei protagonisti della promozione in Serie B nel 1996/97. Per Abbiati c’è anche il tempo di giocare un intero campionato cadetto, prima della chiamata da Milanello. Del resto, da quelle parti c’è Galliani che per il “suo” Monza ha sempre un occhio di riguardo e decide di portare in rossonero il portiere.
Da terzo ad eroe
All’inizio di quella stagione, Abbiati è il classico numero 22. Il titolare sarebbe Lehmann, con dietro l’eterno Rossi. Peccato (ma non troppo, almeno per Abbiati) che prima il tedesco decida di regalare momenti di terrore alla difesa rossonera, guadagnandosi un biglietto di ritorno per la Germania, e che poi il portiere del Milan degli Invincibili decida di tentare di decapitare Bucchi, beccandosi cinque giornate di squalifica. Il posto da titolare, il buon Seba non lo vedrà più.
Le prestazioni di Abbiati, che si presenta in campo con una determinazione forse inattesa, convincono Zaccheroni a tenerlo tra i pali per tutto il girone di ritorno. Le sue parate sono fondamentali nella clamorosa rimonta rossonera alla Lazio di Eriksson, con tanto di sorpasso alla penultima giornata. E nella partita che sancisce la vittoria dello scudetto a Perugia c’è la sua firma.
Ad appena 22 anni e a neanche sei mesi dall’esordio in Serie A, Abbiati è il portiere del Milan scudettato e la società si fida così tanto di lui da non cercare un sostituto. Per altre tre stagioni difende i pali rossoneri, esordendo anche in Champions League. Poi però, nel 2002, il destino gli fa un brutto scherzo. Un infortunio all’anca lo costringe a saltare i preliminari di Champions League contro lo Slovan Liberec e al suo posto gioca Dida.
Il brasiliano si comporta così bene che Carlo Ancelotti, che nel frattempo è diventato tecnico dei rossoneri, lo promuove a numero uno. Abbiati comunque gioca sei delle diciannove partite che porteranno il Milan a laurearsi Campione d’Europa a Manchester contro la Juventus. Per le due stagioni successive, però, le presenze saranno sporadiche, con il verdeoro ormai punto fermo della retroguardia rossonera.
Le Torino di Abbiati
La sorte però ha uno strano rapporto con Abbiati e nell’estate 2005 gli regala un’avventura decisamente inattesa. In uno scontro con Kakà nel classico Trofeo Berlusconi, Gigi Buffon si infortuna alla spalla. Per tutta risposta il presidente rossonero offre come “compensazione” il prestito secco del suo portiere ai bianconeri.
Quindi Abbiati si ritrova titolare della Juventus di Capello fino al ritorno di Buffon, che avviene nella seconda parte della stagione. A Torino il portiere lombardo vince il suo terzo scudetto, che però verrà revocato a causa del ciclone calciopoli.
La città però evidentemente gli piace, perché anche l’anno successivo resta in prestito sotto la Mole, ma stavolta con la maglia granata. Da titolare indiscusso, Abbiati contribuisce alla salvezza della squadra guidata da Zaccheroni prima e da De Biasi poi. E anche la stagione 2007/08 la passa in prestito, stavolta all’Atletico Madrid, iniziando da secondo e poi conquistandosi il posto da titolare.
Al ritorno al Milan, la situazione è cambiata. Dida non regala più troppe certezze, quindi Abbiati rifiuta la cessione al Palermo e si riprende metaforicamente la numero 1. Deve però abbandonarla nel marzo 2009, quando una distorsione con interessamento dei legamenti lo costringe a chiudere in anticipo la stagione e a fermarsi per dieci mesi. L'infortunio non gli impedisce di tornare di nuovo da titolare e di ottenere il prolungamento del contratto.
La stagione 2010/11 è quella della rivincita. Il Milan di Allegri si aggiudica lo scudetto, l'ultimo non vinto dalla Juventus per gli appassionati di scommesse Serie A, ed Abbiati è di nuovo protagonista, indossando per la prima volta anche la fascia da capitano.
Per altri tre anni il classe 1977 si tiene stretto il posto, finché nella stagione 2013/14 non arrivano a Milano prima Inzaghi e poi Mihajlovic, che gli preferiscono prima Diego Lopez e poi Donnarumma. A quel punto Abbiati decide di lasciare il calcio nel 2016, non prima di essere diventato il portiere con più presenze nella storia del Milan, con 380 presenze e 8 trofei in quindici anni.
La Nazionale
L’unica vera delusione di una carriera così lunga e importante è la nazionale. Chiuso quasi sempre da Buffon, Abbiati riesce a racimolare appena quattro presenze in azzurro, due con Trapattoni e due con Donadoni. E dire che se nel 2000 la squadra di Zoff con Toldo titolare avesse vinto l’Europeo, Abbiati si sarebbe laureato campione d’Europa, visto che il tecnico friulano lo aveva convocato per sostituire proprio SuperGigi, che si era infortunato prima del torneo.
Anche nel 2002 ha fatto parte come terzo portiere della sfortunata spedizione in Giappone e Corea del Sud, mentre nel 2006 Lippi gli ha preferito Peruzzi e Amelia per guardare le spalle a quel Buffon con cui aveva condiviso la porta della Juventus proprio in quella stagione. Ma vista la bacheca, di certo il portiere lombardo non avrà molto di cui lamentarsi in ogni caso…
*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Matt Dunham ed Alberto Pellaschiar.