Quando una squadra opta per un piano di gioco abbastanza conservativo, che tende più a impedire che l’avversario produca, piuttosto che a proporre iniziative che non siano ripartenze, si parla spesso di “gioco all’italiana”. Ma è una definizione corretta rispetto al calcio di livello europeo?
Sì e no, perchè va a fondere due atteggiamenti che nel corso dei decenni sono stati caratteristici delle squadre tricolori e che negli anni Sessanta e negli anni Ottanta sono stati i cardini delle vittorie a livello di club e di nazionale che hanno reso grande il pallone italiano.
L'evoluzione del catenaccio
Molto prima di arrivare alle vittorie corto muso, tutto nasce, strano a dirsi, in Svizzera per mano di un austriaco. Karl Rappan, allenatore del Servette, nel 1932 si inventa un ruolo destinato ad avere un futuro importantissimo: il libero. Il tecnico decide di spostare un uomo dal centrocampo alla difesa, piazzandolo però ancora dietro alla linea e senza destinarlo alla marcatura a uomo, ma ad acciuffare avversari sfuggiti ai colleghi di reparto o a prevenire palloni filtranti.
In Inghilterra lo chiamano “sweeper”, colui che spazza, mentre in Italia è…libero perchè privo di un uomo da marcare. Oltre ai quattro difensori, anche due dei centrocampisti hanno compiti di interdizione, mentre il terzo lancia gli attaccanti, che colpiscono l’avversario in letali ripartenze. Uno schieramento del genere rende molto complicato per gli avversari scardinare l’organizzazione difensiva della squadra.
E quindi lo schema che Rappan applica anche con la nazionale Svizzera viene battezzato Verrou, serratura, per la sua capacità di…chiudere la propria porta. I primi che lo utilizzano in Italia, tra cui Gipo Viani e Alfredo Foni, si ritroveranno a chiamarlo Catenaccio.
I maestri del Catenaccio sono Nereo Rocco ed Helenio Herrera, gli artefici delle prime quattro Coppe dei Campioni del calcio tricolore. Rocco comincia i suoi esperimenti alla Triestina e al Padova, per poi trasferirsi al Milan, dove trova elementi perfetti per il suo modo di intendere il calcio. Sotto la guida del Paron, in tre periodi distinti tra anni Sessanta e Settanta, i rossoneri vincono due campionati, tre Coppe Italia, due Coppe dei Campioni, due Coppe delle Coppe e una Coppa Intercontinentale.
Dall’altro lato di Milano però hanno un’idea molti simile e portano in Italia “Il Mago” Herrera, già vincitore di quattro campionati spagnoli con Atletico Madrid e Barcellona.
In Italia, però, il suo Catenaccio fa ancora più faville e nasce così la Grande Inter, che porta a casa tre campionati, ma soprattutto due Coppe dei Campioni consecutive a altrettante Coppe Intercontinentale. Logico dunque che nella mente degli appassionati di calcio, viste le vittorie dei club tricolori, questo modo di approcciare alle partite diventi…il calcio all’italiana.
Il Trap maestro di calcio
Già a partire dalla fine degli anni Sessanta, però, il Catenaccio è in declino. Con la nascita del Calcio Totale e della marcatura a zona, uno schema così difensivo appare immediatamente antidiluviano.
Ma siccome il motto “primo, non prenderle” continua a essere valido, nasce la vera e propria evoluzione tattica del Catenaccio: la zona mista.
Anche in questo caso, lo sviluppo maggiore del nuovo modo di giocare avviene nella stessa città, Torino, dove Giovani Trapattoni e Gigi Radice, rispettivamente alla guida di Juventus e Toro, decidono di applicare alcuni dei concetti del Calcio Totale (come il pressing e gli scambi dei calciatori) al buon vecchio catenaccio.
Nasce così un concetto del tutto nuovo, destinato a portare il granata sul tetto d’Italia, ma soprattutto la Signora a un ciclo in cui i bianconeri vincono tutto quello che si può vincere, compresa la tanto attesa Coppa dei Campioni. In più, anche la Nazionale adotterà la zona mista, riuscendo a vincere la Coppa del Mondo nel 1982 sotto la guida di Enzo Bearzot e facendo affidamento proprio sul blocco-Juve, con calciatori abituati ad applicarla.
Il modulo 3-5-2
Come si sviluppa questo nuovo gioco all’italiana? Dal punto di vista dello schieramento, nella maggior parte dei casi si parla di un 3-5-2 o di un 4-3-3 asimmetrico. In realtà, a partire dalla difesa, non c’è molto di diverso dal Catenaccio: giocano un marcatore puro che gioca attaccato all’attaccante, uno stopper che cerca di anticipare l’avversario e il libero, che organizza la difesa. Accanto a loro c’è il terzino fluidificante, spesso schierato a sinistra, uno dei segreti del modulo già negli anni Sessanta, come dimostra la carriera di Facchetti.
La novità è però rappresentata dal calciatore di centrocampo sul lato opposto al terzino, la cosiddetta ala tornante, ovvero l’attuale esterno a tutta fascia, con compiti sia offensivi che difensivi. Per il resto rimangono sia il mediano che il regista, con la differenza che il terzo centrocampista centrale, la mezzala, non è più prettamente difensivo, ma attacca gli spazi creati dagli attaccanti. In avanti, come sempre, centravanti e fantasista.
La novità, dal punto di vista tattico, sono il pressing molto alto con il raddoppio sul portatore di palla, gli inserimenti sincronizzati di mezzala e seconda punta e la capacità dei calciatori di prescindere dalla zona pura, andando a coprire eventuali buchi lasciati dai compagni di reparto.
Da qui, si può benissimo intravedere quello che è il gioco all’italiana attuale, che rende il calcio tricolore quello tatticamente più complicato del mondo. Nonostante molte squadre abbiano nel corso degli anni ridotto l’approccio speculativo e difensivista, alcuni dei principi sviluppati dal catenaccio prima e dalla zona mista poi restano molto validi.
A dimostrarlo c’è stata la Juventus che di certo nella prima versione non partiva favorita per le quote Serie A e poi la Nazionale di Conte, che ha riportato in auge il 3-5-2 con due esterni a tutta fascia e un’aggressività non comune sul portatore di palla.
Gli "italiani" nel Mondo
E non è un caso che molte delle squadre sorpresa nelle coppe Europee (come il Villarreal), che sono in grado di ribaltare i pronostici calcio italiano contro club molto più blasonati, applichino un calcio che si può tranquillamente definire all’italiana.
Così come ha fatto la Grecia, che nel 2004 con un modo di giocare che sembrava totalmente anacronistico ha addirittura vinto i campionati Europei. In generale, l’etichetta di calcio all’italiana arriva quando una squadra si dedica più alla fase difensiva che a quella di costruzione, preferendo impedire all’avversario di fare gioco e provando a sfruttarne gli errori.
Ma forse bisognerebbe concentrarsi più sull’organizzazione di squadra (ripresa dalla zona più rigida e dal Calcio Totale, non esattamente idee di calcio speculative) piuttosto che tacciare gli avversari di difensivismo e di ritorno al Catenaccio. Perchè il calcio sarà anche uno solo, ma i modi di declinarlo sono tanti. E gli italiani, come dice un detto abbastanza famoso all’estero, lo…fanno meglio!
*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo. Prima pubblicazione 6 maggio 2022.