“Per me, numero uno”. Quando si parla di Daniel Lowell Peterson, per tutti semplicemente Dan, è impossibile non citare una delle sue frasi celebri, nonché leggerla con il suo inconfondibile accento. “The Coach”, come è stato soprannominato in Italia, è per l’appunto l’allenatore di basket per antonomasia nel Belpaese, una nazione che lo ha adottato sia dal punto di vista cestistico che umano.

Per lui, nato a Evanston, nell’Illinois, venire in Italia è stato un po’ come…trovare l’America. Prima è diventato una leggenda nella pallacanestro nostrana, guadagnandosi l’inserimento nella Hall of Fame tricolore, ma poi è rimasto nel cuore di tutti anche lontano dal parquet, diventando commentatore televisivo, opinionista e persino attore.

Mamma butta la pasta

Ma per quanto le sue pubblicità o le telecronache (con il leggendario “mamma, butta la pasta” quando la partita veniva praticamente vinta da una delle due squadre) siano parte integrante della cultura popolare italiana, difficile non pensare all’impatto che Dan Peterson ha avuto soprattutto sul basket tricolore.

The Coach ha vissuto uno dei momenti di maggior splendore della pallacanestro nel nostro paese, guidando due dei club più titolati d’Italia, la Virtus Bologna e l’Olimpia Milano.

Ma del resto, da quando ha ottenuto la laurea come insegnante di basket alla Northwestern University nel 1958, Dan ha subito capito che il suo futuro era sul parquet e, soprattutto, sulla panchina. Come accaduto a molti colleghi, Peterson ha cominciato nel circuito universitario, fungendo da vice in diverse squadre prima di avere la grande occasione da head coach, nel 1966 alla University of Delaware.

Era evidente che il basket avrebbe portato il ragazzo dell’Illinois molto lontano dalle praterie: nel 1971 il futuro Coach diventa allenatore della nazionale del Cile, che sotto la sua guida ottiene un buon sesto posto ai campionati continentali del Sud America.

Dan arriva in Italia per allenare la Virtus

Nel 1973 lo chiama l’Italia, con la Virtus Bologna dell’Avvocato Porelli che gli affida la panchina. La scelta sembra perlomeno particolare, ma ci vuole davvero poco per capire che quel giovane tecnico (all’epoca appena trentacinquenne) ha tutte le carte in regola per fare bene. La Virtus vince immediatamente la Coppa Italia 1973/74 e nella stagione successiva fa bene sia nella stagione regolare che nella poule scudetto, arrivando quarta.

È l’anteprima di una stagione trionfale, quella 1974/75, in cui la squadra bolognese, forte di stelle come Terry Driscoll, Charly Caglieris, Gianni Bertolotti, Marco Bonamico, Gigi Serafini e Massimo Antonelli, arriva terza in regular season, ma poi domina la poule scudetto con 13 vittorie e una sola sconfitta, strappando il titolo di campione d’Italia a Varese.

Per le V nere è il settimo titolo, nonché l’unico a Bologna per Peterson. Nei due anni successivi la Virtus arriva per due volte in finale dei playoff scudetto, perdendo in entrambi a casi, ma anche in finale di Coppa delle Coppe nel 1978, uscendo di nuovo sconfitta.

L'epopea della Milano di Dan Peterson

E proprio nell’estate del 1978, Peterson cambia panchina. A volerlo a Milano è l’allora presidente Adolfo Bogoncelli, ma a veder pagare la sua scommessa in un momento nel quale siamo ben lontani dai... siti scommesse sarà la proprietà successiva, quella della famiglia Gabetti. Nelle prime due stagioni l’Olimpia raggiunge due finali scudetto, perdendo in entrambi i casi contro l’ex squadra dell’allenatore, la Virtus Bologna.

Ma nel 1981 cambia tutto, perchè approda a Milano il vecchio rivale dell’Olimpia, Dino Meneghin, fino ad allora colonna di Varese. La squadra a disposizione di Peterson è di quelle di livello assoluto: oltre a Meneghin ci sono Mike D’Antoni, capitan Vittorio Ferracini, Vittorio Gallinari, il papà di Danilo Gallinari, l’altro americano John Gianelli e Roberto Premier, arrivato anche lui in quell’anno.

D'Antoni e Gallinari in NBA

Ed è quasi logico che l’Olimpia (targata Billy) vada a vincere lo scudetto, il ventesimo della sua storia, dopo aver concluso al terzo posto la stagione regolare e battendo in finale la Scavolini Pesaro.

La stagione successiva vede l’Olimpia competere fino alla fine sia in campionato che in Coppa dei Campioni, ma termina con due delusioni. In Serie A Milano giunge alla finalissima, ma viene battuta dal Banco Roma per 2-1, mentre in Europa la differenza tra la Ford Cantù vincitrice e la squadra di Peterson è di appena un punto, perchè il match che vale il trofeo termina 69-68 per i canturini.

Nell’annata 1983/84 continuano le sconfitte cocenti: l’Olimpia vince la regular season, ma deve di nuovo inchinarsi a Bologna nella finale scudetto, per poi soccombere, ancora per un punto (82-81) al Real Madrid nella finale di Coppa delle Coppe. Ma è solo questione di tempo perchè il Coach e i suoi ragazzi raccolgano i dividendi del loro impegno.

La stagione 1984/85 è trionfale e termina con il ventunesimo titolo dell’Olimpia, vinto in finale contro Pesaro, ma anche con la conquista della Coppa Korać in un’altra finale tutta lombarda contro Varese. 

Il periodo d’oro continua nella stagione 1985/86, perchè Milano vince di nuovo lo scudetto battendo 2-1 in finale Caserta, ma anche la Coppa Italia, la seconda per Peterson, sconfiggendo Pesaro. Per fare meglio…bisogna fare il Triplete. E l’Olimpia non si fa certo pregare, complice l’arrivo di un veterano della NBA come Bob McAdoo.

La regular season della stagione 1986/87 vede i lombardi classificarsi quarti, ma all’ultimo atto è di nuovo Milano contro Caserta, con il terzo titolo di fila per le Scarpette Rosse. Dopo il bis in Coppa Italia (di nuovo battendo Pesaro in finale) è ora di puntare al bersaglio grosso, la Coppa dei Campioni.

Il cammino dell’Olimpia passa per Edimburgo, Salonicco (con una clamorosa rimonta di oltre 31 punti nella gara di ritorno) e poi per la finalissima contro il Maccabi Tel Aviv.

Stavolta i punti di differenza sul tabellone sono due, quelli del 71-69 che permette a Milano di laurearsi per la seconda volta campione d’Europa. 

Dan Peterson oggi

Dopo questa impresa eccezionale, Peterson lascia la panchina, dedicandosi ai suoi nuovi impegni televisivi, ma senza mai dimenticare il suo grande amore. Nel 2008 torna nel mondo del basket, con un ruolo di consulente alla Reyer Venezia, per poi rimettere di nuovo piede in panchina nel 2011, per sostituire Bucchi alla guida dell’Olimpia Milano.

Dan

La seconda esperienza meneghina termina con l’eliminazione in semifinale nei playoff e stavolta è davvero l’addio al parquet per The Coach.

Uno che in carriera, anche per le quote Serie A ha vinto tantissimo, ma soprattutto che ha rubato il cuore a un’intera nazione, dentro e fuori dal campo da basket. 

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo.

Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.