La telenovela calcistica dell’estate è durata poco, ma è stata parecchio intensa. Normale, considerando che l’attore protagonista è stato Leo Messi, sei volte Pallone d’Oro. La volontà, poi ritrattata (ma non troppo) di lasciare Barcellona è stata un fulmine a ciel sereno, anche se qualche nube, a ben, vedere, aveva già cominciato ad addensarsi sul Camp Nou.
L’opposizione del club blaugrana, però, ha sortito l’effetto sperato. Per sfruttare la sua celebre clausola di fuga, Messi avrebbe dovuto intentare una causa ai catalani, cosa che, come ha dichiarato in una lunga intervista, non avrebbe mai potuto fare per motivi affettivi. Dunque, almeno per una stagione, Messi resta a Barcellona. Ma con quali stimoli?
Complicato a dirsi, anche se quando si parla della Pulce lo stimolo principale è sempre uno: vincere, primeggiare, dimostrare a tutti di essere il migliore. D’altronde, uno dei motivi della scarsa soddisfazione di Messi è proprio l’annata pessima del Barcellona, che resta senza titoli stagionali dopo un’eternità. E anche tutti i contatti (veri o presunti) con Guardiola per un volo verso Manchester sponda City, vertevano su un solo punto: vincere di nuovo la Champions League ed il Pallone d’Oro!
Ma gli stimoli per Messi potrebbero arrivare anche dallo scontro frontale con il presidente Bartomeu. Del resto, le elezioni al Barça sono previste a marzo 2021. E anche se il numero uno ha esaurito i mandati e non potrà candidarsi, quale modo migliore di vendicarsi nei confronti di colui che non ha mantenuto la promessa di lasciarlo andare che brillare, favorendo con tutta probabilità la sconfitta della sua corrente alle urne?
Senza poi contare che la vittoria di qualcuno dei candidati potrebbe riportare al Camp Nou facce conosciute come Xavi, che certamente può essere importante per una ulteriore permanenza di Messi più di quanto lo sarà Koeman. Già, Rambo. L’allenatore olandese è arrivato a Barcellona nel momento più sbagliato possibile, provando a mettersi alla guida di una barca che definire in tempesta è poco.
Lui, e non può essere altrimenti, Messi se lo terrà con piacere, ma l’atteggiamento nei confronti degli altri senatori lascia poco spazio alle congetture: Koeman è arrivato anche per rinnovare a fondo la rosa. E così addio a Suarez, a Rakitic, a Vidal e chissà quanto spazio per i senatori che rimarranno, come Piquè. Il problema di Rambo, però, è duplice. Deve cambiare, ma anche vincere. Dopo una stagione all’asciutto, nessuno a Barcellona può neanche concepire l’idea di concedere il bis.
Non è un caso che, dopo lustri, per le scommesse la Liga, il Barcellona non sia più favorito per la vittoria in campionato: la quota è @2.50 contro 1.75 del Real che si conferma campione. Ma qualcosa dovrà arrivare in bacheca, che sia la Liga (buttata alle ortiche per demeriti propri) o, meglio ancora la Champions, che ormai manca dalla stagione 2014/15.
Molto però dipenderà da quello che rimarrà a disposizione dell’ex CT degli Oranje dopo il mercato, sia in entrata che in uscita. Non che gli ultimi anni, al riguardo, offrano garanzie.
I mercati senza logica
Tra le tante teste saltate a fine stagione, oltre a quella di Quique Setien c’è quella di Eric Abidal. L’ex direttore sportivo (sostituito da Planes) paga i risultati della squadra ma ancor di più una serie di operazioni di mercato fallimentari nelle ultime due stagioni.
Ma il problema sul mercato dei blaugrana comincia da prima della gestione Abidal. Dopo il Triplete firmato Luis Enrique, i catalani hanno perso colpi in sede di trattative. Sono andati via nomi pesanti: Xavi e Iniesta hanno preferito chiudere la carriera altrove, mentre Neymar è fuggito a Parigi e Dani Alves ha scelto prima Torino e poi anche lui il PSG.
Al loro posto, ma non solo, una serie di acquisti non proprio azzeccati. Il più costoso, Coutinho (160 milioni), è attualmente un esubero dopo essere stato sbolognato in prestito, vincendo tra l’altro la Champions con il Bayern. Griezmann (anche lui un totale di 160 milioni) non è ancora giudicabile, visto che è arrivato nella stagione più complicata della storia recente del Barça. Pollice finora verso per Dembelè, che invece combatte con un fisico troppo propenso agli infortuni e che non ha giustificato i 120 milioni spesi per lui.
E anche quelli pagati meno non è che abbiano brillato. Malcom, strappato alla Roma mentre era in aeroporto per 41 milioni, ha lasciato dopo una sola stagione. Andrè Gomes ce ne ha messe due per andarsene, ma i 37 milioni versati al Valencia restano un mezzo mistero. Così come la storia in blaugrana di Arda Turan, pagato 34 milioni e poi desaparecido fino alla rescissione. E poi ancora Lenglet, che non è Piquè, e Semedo, che non sarà mai Dani Alves, ma che sono costati in due 70 milioni.
E infine Arthur, che almeno ha fruttato una buona plusvalenza (80 milioni, contro i 31 di costo), ma che non ha mai tenuto fede all’etichetta di nuovo Xavi. Per quanto Messi...sia Messi, al Camp Nou non potevano certo sperare che tenesse su la nave da solo.
Le tre sconfitte in Champions
E anche questi errori spiegano il perché del crollo verticale dei blaugrana, soprattutto in Champions League. Nelle ultime tre stagioni, il Barcellona è incappato in tre nottate terribili che hanno portato ad altrettante figuracce. E se in Liga, almeno fino all’ultima edizione, i valori tecnici e le 38 giornate hanno fatto sì che la squadra all’epoca di Valverde portasse a casa il titolo al netto degli inciampi, la competizione europea non ha perdonato.
A Roma, nella notte che con il senno di poi ha dato il via alla valanga, i catalani hanno pagato una supponenza mentale evidente, quella di aver già chiuso i conti all’andata. Messi e compagni si sono presentati nella Capitale con l’idea di giocare una mezza amichevole.
L’entusiasmo dei giallorossi, la spinta del pubblico e l’imprevedibilità del calcio hanno fatto il resto, per una eliminazione clamorosa per le scommesse calcio, ma giusta per quanto espresso dalle due formazioni nell'arco dei 180 minuti! L’anno dopo, con il Liverpool, è invece stato il ricordo dell’Olimpico a giocare un brutto scherzo al Barça.
Il 3-0 all’andata, in teoria, metteva gli spagnoli ancora più al riparo da sorprese del 4-1 alla Roma dell’anno precedente. Ma quando tutti si sono disperati all’errore di Dembelè, che sbaglia il 4-0 a porta vuota, si è capito che i blaugrana non erano tranquilli.
Ad Anfield il Liverpool ha giocato conscio del terrore latente degli avversari e quando ha segnato il 2-0 al minuto 54, Klopp si è goduto il crollo. Non per nulla, Wijnaldum ha portato il doppio confronto in parità pochi attimi dopo e Origi ha suggellato la caduta degli Dei con una rete figlia della confusione della squadra di Valverde, che si perde un corner battuto in fretta, roba che forse si vede in un match delle giovanili, non certo in semifinale di Champions.
Per quello che riguarda il 2-8 subito in Portogallo dal Bayern, si tratta di una disfatta imprevedibile, ma neanche troppo. La squadra di Setien è arrivata al confronto con i bavaresi dopo mesi di tensioni, interne ed esterne, che hanno lasciato il segno. E proprio come accaduto al Brasile nel mondiale casalingo del 2014, si è sciolta come neve al sole non appena i tedeschi (che evidentemente per cultura calcistica non si fermano neanche quando l’avversario è ormai KO) hanno spinto sull’accelleratore.
Paradossalmente, nonostante un risultato mai visto e un’onta complicata da cancellare, quella contro i futuri campioni d’Europa resta la meno evitabile tra le figuracce continentali recenti. Ma, volente o nolente, ha segnato una cesura drammatica nella storia del Barcellona. E quali saranno le conseguenze, cominceremo a vederlo presto.
*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Luca Bruno ed Andrew Medichini.