A volte per scoprire se stessi è necessario allontanarsi dalle proprie radici e trovare un posto nuovo dove metterle. Succede anche nel calcio, dando vita a storie che suonano incredibili. Come quella di Luigi Riva da Leggiuno, Varese, che si ritrova a Cagliari quasi controvoglia e che ora è il simbolo di una squadra, se non di una regione intera. E quindi accade anche che un ragazzo nato a Centocelle, cresciuto a pane, pallone e Lazio, si ritrovi a diventare la bandiera dell’Udinese. Lontano da Roma, lontanissimo da quella maglia biancoceleste che ha nel cuore.
Eppure così vicino alla sua nuova casa, che non ha abbandonato neanche quando ha appeso gli scarpini al chiodo. Giampiero Pinzi ora è bianconero, dentro e fuori. Normale, quando in diciannove anni di professionismo, tredici sono stati trascorsi in Friuli. Per lui con la “sua” Lazio appena quattro partite, contro le 355 con la maglia della squadra friulana. Il che lo rende terzo nella classifica di presenze con il club, dietro a due altri mostri sacri come Totò Di Natale (446) e Valerio Bertotto (404).
Una storia nata per caso e che ricorda un po’ quella di un quasi coetaneo. Classe 1981 Pinzi, 1979 per Daniele Conti. Entrambi sedotti e abbandonati dalla squadra del cuore, ma in grado di trovarsi un nuovo luogo dell’anima. Per l’ex romanista non arriverà mai la gioia di indossare l’azzurro (“la mia nazionale è sempre stata il Cagliari”, ricorda spesso il figlio di Bruno). L’ex laziale, invece, si toglie anche questa soddisfazione. È il 30 marzo 2005 quando Marcello Lippi gli regala l’esordio con l’Italia, nell’amichevole di Padova contro l’Islanda. Un quarto d’ora scarso, mai più ripetuto, ma quanto basta per inserirlo nella propria storia di calcio personale.
Di trofei, del resto, Pinzi ne ha vinti pochi. Uno Scudetto, il secondo della storia della Lazio, senza giocare neanche una partita, una Coppa Italia scendendo in campo tre volte e una Supercoppa Italiana, anche quella da spettatore. Più un Europeo con l’Under-21. Già, perché il centrocampista romano è un talento, gli viene riconosciuto un po’ da tutti. Ha soltanto una sfortuna, ritrovarsi nella Lazio forse più forte di tutti i tempi. Per un ragazzino della Primavera, a meno che non si chiami Nesta (che però ha esordito qualche anno prima) non c’è troppo spazio se quelli davanti nelle gerarchie si chiamano Almeyda, Stankovic o Veron.
Cragnotti vuole calciatori già formati, come Fiore o Giannichedda. E proprio nell’ambito dell’affare che porta i due dell’Udinese a Roma, Pinzi fa il viaggio verso il Friuli.
LA CARRIERA AD UDINE
Se non è amore a prima vista, poco ci manca. Pinzi diventa quasi immediatamente una pedina fondamentale dello scacchiere bianconero. De Canto non lo vede, ma Spalletti sì. E come lui Hodgson, Ventura, ancora Spalletti, Cosmi, Dominissini, Galeone e Marino. Davanti alla difesa, intermedio o trequartista di gamba, non fa troppa differenza. Nessuno può fare a meno del dinamismo dell’ex laziale. Che se non gioca è per infortunio. O per squalifica, perché ogni tanto qualche cartellino ci scappa. Anzi, abbastanza spesso.
Tredici espulsioni, dieci per doppia ammonizione e tre dirette. E 140 gialli in Serie A, più un’altra manciata tra campionati minori, Coppa Italia e competizioni europee. Rischi del mestiere, perché a un certo punto Pinzi si specializza: decide di fare il mediano, quello il cui compito è sradicare la sfera dai piedi dell’avversario e metterla a disposizione dei compagni deputati a gestire il gioco. La grinta e l’attaccamento alla maglia lo rendono un idolo. E quando Bertotto lascia il calcio, la fascia di capitano non può che finire sul braccio del ragazzo di Centocelle.
Nel 2008, però, qualcosa si rompe. L’Udinese decide di cederlo in prestito al Chievo Verona, con diritto di riscatto della metà. Riscatto che però non avverrà, nonostante il prestito sia rinnovato per un secondo anno. E quindi nel 2010 il figliol prodigo torna a casa. In panchina c’è Guidolin, in campo, neanche a dirlo, c’è Pinzi. Trentacinque partite, un gol, nove gialli e un rosso, che non sia mai che il buon Giampiero si sia dimenticato cos’è che sa fare meglio. Quell’anno l’Udinese arriva quarta, quello dopo addirittura terza, sorprendendo le scommesse e quote per la Serie A! Ci sono due playoff di Champions, entrambi da dimenticare.
Prima la sconfitta di misura contro il più quotato Arsenal, poi il doppio confronto perso con il Braga, per lo sciagurato rigore col cucchiaio di Maicosuel. Quella sera Pinzi il suo rigore lo tira, e segna. Così come l’altro friulano d’adozione Di Natale. Le presenze nella massima competizione rimarranno quindi solo quattro, l’esordio con la Lazio e tre con l’Udinese 2005/06. Una vittoria (col Panathinaikos), un pareggio e una sconfitta, entrambi col Werder Brema. E un’espulsione, tanto per non smentirsi troppo.
Sul campo, l’amore da favola con l’Udinese finisce nel 2015. Poi, tre anni e mezzo in giro per l’Italia. Prima il ritorno al Chievo, poi la B e la C con il Brescia e con il Padova. Ma quando Giampiero Pinzi smette, non può che tornare a casa. Il Friuli, ormai diventato Dacia Arena, lo attende di nuovo, stavolta come assistente tecnico. E se qualcuno gli chiede dov’è che è il suo cuore, il Cavaliere della Repubblica Italiana (onorificenza ricevuta dopo l’Europeo Under-21 vinto nel 2004) non può che puntare il dito su Udine. Dove la sua bandiera sventola ancora più in alto che mai.