Se pensiamo ad un tecnico che nel nostro calcio, si è rivelato capace di offrire un impulso reale, innovativo, sotto il profilo tattico, a tifosi, appassionati ed addetti ai lavori, non possiamo esimerci dal menzionare Luciano Spalletti ed il suo sistema di gioco 4-2-3-1, riformulato al Maradona con un centrocampista in più!
Nell’ormai lontano campionato di Serie A 2005/2006, a metà stagione, la Roma, falcidiata dagli infortuni, veleggia a metà classifica, attesa dalla complicata trasferta di Genova contro la Sampdoria. Il tecnico toscano accantona il 4-4-2, tra intuito ed emergenza, propone un 4-2-3-1 pieno di centrocampisti e con Totti centravanti.
I giallorossi pareggeranno ma daranno spettacolo: è la sera in cui nasce ufficialmente “la Roma di Spalletti”, quella in cui, da lì a poco, si esalteranno il Perrotta trequartista, i brasiliani Mancini e Taddei da esterni offensivi, De Rossi e Pizarro da mediani. In difesa, davanti al portiere Doni, l’esperienza di Panucci e la fisicità ed il senso tattico della coppia centrale Chivu - Mexes, garantiranno affidabilità e personalità.
Finora, ci siamo limitati a fare cronaca, addentriamoci ora nella questione più puramente tattica; perché sul campo l’impatto di quella Roma, fu così disarmante?
Giornali, siti web, analisi tattiche di professionisti e non, sono tutti unanimi nel riconoscere che il vero punto di forza di quell’impianto di gioco fu l’esaltazione del principio offensivo dell’imprevedibilità dei singoli: Totti interpretava il ruolo di centravanti in maniera totale, non offriva mai riferimenti agli avversari e piuttosto che attaccare la profondità, veniva a ricevere palla in tutte le zone della trequarti per permettere a Perrotta, Mancini e Taddei di arrivare, con corse lunghe di attacco alla profondità, alla conclusione.
Questo può sembrare banale, ma c’è dell’altro.
DUE MODULI IN UNO
Quel 4-2-3-1, che negli anni a seguire, fino al 2009, si mostrò in tutto il suo splendore, fino a condurre i giallorossi alla vittoria di coppe nazionali ed a sfiorare lo scudetto, si caratterizzava per essere in anticipo sull’evoluzione tattica collettiva del gioco, nella messa in azione di alcuni principi tattici, oggi ritenuti essenziali: in primis il sistema di Spalletti risultava dinamico ed in grado di sdoppiarsi. In fase difensiva infatti, le linee di gioco restavano quattro, ma i due esterni offensivi, ripiegavano sulla stessa linea dei due mediani, dando vita ad un 4-4-1-1 corto e stretto difficilmente penetrabile.
Non solo: nel 4-2-3-1 di Luciano Spalletti i due difensori centrali abitualmente entravano palla al piede a puntare la linea di centrocampo avversaria, alla ricerca della verticalizzazione alle spalle dei centrocampisti avversari e quando uno di questi saliva palla al piede o, era fuori posizione, uno dei due mediani, De Rossi, si mostrava subito pronto a prendere il suo posto per riformare la linea a 4. Altro concetto fondante di quel 4-2-3-1 era l’alternanza e il riconoscimento collettivo di un mantenimento palla prolungato, qualora non ci fossero tempi, spazi e smarcamenti in avanti.
A condurre questa fase, imperversava David Pizarro. In fase offensiva, altro aspetto che vale la pena menzionare e che caratterizzò non poco quel sistema, era l’attacco delle vie di mezzo, cioè dello spazio alle spalle della linea di centrocampo avversaria; se Perrotta e Totti, come risaputo, si alternavano verticalmente senza dare riferimenti, altrettanta differenziazione si notava nello scaglionamento offensivo dei due attaccanti esterni: il brasiliano Mancini giocava infatti più dentro al campo, più stretto, mentre a destra, l’altro carioca, Taddei, si muoveva più lungo la linea laterale.
Altro concetto dominante erano le transizioni offensive, le ripartenze, realizzate attraverso l’organizzazione di attacchi preventivi raffinati: quando si difendeva infatti, Totti non rientrava mai sotto la linea della palla nella propria metà campo, restava sempre sopra e non certo, come dice qualcuno ancora oggi, per pigrizia, ma bensì per rappresentare il porto sicuro su cui in particolare De Rossi, Pizarro e Chivu si appoggiavano per ripartire dando tempo a calciatori di grande gamba e capacità organiche come Perrotta, Taddei e Mancini di attaccare la porta avversaria con molto campo a disposizione.
Negli anni a seguire, quella Roma, come detto, cambiò alcuni calciatori, ma mai i principi tattici e neanche l’ossatura di base: Doni, Panucci, Mexes, De Rossi, Mancini, Perrotta, Totti, Taddei, Pizarro, furono i riferimenti di un sistema di gioco impostato su concetti tattici avveniristici e che oggi sono considerati “normali” ma che in realtà, più di dieci anni fa, fecero scuola: attacco preventivo, differenziazione delle diverse fasi del possesso palla, attacco delle vie di mezzo, imprevedibilità e assenza di posizioni fisse.
LA DIFESA A TRE E MEZZO
Spalletti ed il suo 4-2-3-1 raccolsero consensi anche all’estero, vedi la vincente esperienza in Russia alla guida del favorito per 888sport Zenit San Pietroburgo, prima del ritorno a Roma, nel gennaio 2016, quando il tecnico toscano ripropose un 4-2-3-1 ancora più raffinato ed evoluto, con una finta difesa a 4, costituita in realtà da tre difensori centrali, di cui uno, Rudiger, partendo da esterno destro, dinamicamente, una volta trovata la prima uscita nella fase di possesso, veniva a stringersi accanto a compagni Manolas e Fazio, per liberare, attraverso un perfetto meccanismo di difesa e copertura preventiva, le qualità tecniche di spinta di Emerson Palmieri, sulla catena di sinistra.
In quel 4-2-3-1 giallorosso bis, però, alcuni temi di gioco rimasero intatti; il trequartista era sempre un giocatore di grande forza fisica e corsa, con notevoli tempi inserimento e nel pressing, non più Perrotta ma Nainggolan; l’attaccante centrale, sempre abile nel giocare spalle alla porta e nel rifinire l’ azione era Dzeko, che in tal senso, non era e non è certo paragonabile al Totti migliore, ma aveva ed ha grande qualità.
TRA ICARDI ED OSIMHEN
Gli esterni offensivi, nuovamente uno velocista e disarmante in campo aperto, stavolta Salah e non più Mancini, l’altro più abile a giocare tra le linee, in questo caso El Shaarawy. A gestire il possesso alternando mantenimento e verticalizzazioni, non più il cileno Pizarro, ma un De Rossi nel pieno della maturità.
Nel biennio interista, prima di trovarsi a lavorare a Napoli con Osimhen, nonostante il doppio piazzamento Champions al rush finale per le scommesse calcio, i concetti che hanno caratterizzato non solo l’efficacia ma anche l’appagamento estetico che appassionati ed addetti ai lavori hanno sempre trovato nel 4-2-3-1 di Spalletti, non sono emersi come nelle esperienze giallorosse, probabilmente a causa di un parco giocatori a disposizione, con caratteristiche diverse da quelli delle esperienze romaniste.
Sicuramente i nerazzurri erano più fisici, meno dinamici, sia strutturalmente che di pensiero: basterebbe paragonare Vecino a De Rossi, Gagliardini a Pizarro, Icardi a Dzeko, Perisic a Salah, , per capire quanto i singoli determinino le scelte dei principi di gioco degli allenatori al fine di renderli insieme, il più efficaci possibili.
In ogni caso, è fuori dubbio che il 4-2-3-1 di Spalletti, sia stata una vera perla nell’evoluzione tattica collettiva del calcio italiano!
*Il testo dell'articolo è stato curato da Luigi Miccio; le foto sono distribuite da AP Photo. Prima pubblicazione 9 aprile 2000.