«Mr Friedkin, vinciamo il trofeo più bello! Il nostro stemma…». Non l’arrivo di qualche grande campione, la richiesta che la parte più calda del tifo romanista ha fatto recapitare ai nuovi proprietari della società capitolina, i Friedkin, è la ricomparsa sulla maglia giallorossa dello storico logo.

 

Manifesti e striscioni sono stati affissi in giro per la città con un solo appello: archiviare il simbolo adottato dalla vecchia proprietà, ovvero la sagoma della lupa romana e dei due gemelli stilizzata e la scomparsa dell’amato acronimo ASR in ragione della scritta ROMA. I tifosi romanisti hanno interpretato sin da subito la riforma dello stemma come un vero e proprio affronto alla storia e alla tradizione della squadra.

Ne dà testimonianza il successo della petizione lanciata online dall’avvocato romanista Lorenzo Contucci. «Il nostro simbolo è la lupa capitolina con l’acronico ASR e non il simbolo da bancarella scelto dalla (vecchia, ndr) dirigenza americana», si legge nel testo della raccolta firme. «Crediamo che la Roma sia riconoscibile nel mondo - come del resto è sempre stato - anche con lo stemma storico», prosegue il documento sottoscritto, alla data di pubblicazione di questo articolo, da 12.650 tifosi.

La maglia della Roma in una partita di serie A contro il Cagliari!

Le firme stanno per essere consegnate in via Tolstoj, sede del club giallorosso.

Il precedente dell’Everton

In una delle fasi meno gloriose della storia della Roma, può apparire curioso che molti tifosi prediligano la riacquisizione del vecchio stemma all’allestimento di una squadra in grado di alzare trofei. Eppure, non c’è nulla di anomalo nell’istanza romantica. Più che di vittorie, il tifo calcistico si alimenta di identità e appartenenza. I romanisti non solo i soli ad aver ingaggiato una battaglia con la dirigenza del proprio club per ripristinare il vecchio stemma.

Un precedente incoraggiante giunge da Oltremanica. Nel 2013 la proprietà dell’Everton decise di svecchiare lo stemma (la Prince Rupert’s Tower) per renderlo più semplice e più facile da riprodurre. La novità provocò, tuttavia, le ire dei supporters dei Toffies, i quali lamentarono la perdita di due elementi chiave del vecchio logo: le due corone d’alloro e il motto latino «Nil Satis Nisi Optimum», traducibile come «Nulla è abbastanza se non il meglio».

Travolti dall’onda di una petizione di 22.500 firme, i dirigenti con un comunicato offrirono le loro scuse e annunciarono il ritorno un cambio di passo: «Ci dispiace di non aver chiesto a ogni tifoso su qualcosa che è così importante per ognuno di voi. È chiaro che volevate essere coinvolti nella scelta del nuovo stemma. Ci rivolgiamo a voi per aiutarci nel ridefinire e dare forma al nuovo stemma che adotteremo in futuro. Ai tifosi spetterà la decisione finale».

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L’affronto alla maglia del Genoa

Un lieto fine lo hanno avuto anche i tifosi del Genoa, a fine anni 90. La loro protesta, però, non fu per il cambio dello stemma, bensì per una novità introdotta nella storica maglia a quadri rosso e blu. Il nuovo sponsor tecnico, la Robe di Kappa, presentò una tenuta che fece sobbalzare i tifosi del Grifone per la presenza di una sottile linea verticale bianca che divideva la parte rossa da quella blu per dipanarsi, in alto, sotto il colletto.

Le proteste furono tali da spingere la nota azienda d’abbigliamento torinese a ritirare rapidamente la casacca. Il ricordo della prima esperienza con Robe di Kappa non dev’essere sereno per molti tifosi genoani, visto che nell’estate 2019, al ritorno del marchio sulle maglie rossoblu, alcuni di loro sui social hanno postato la foto di una vecchia maglia accompagnata da un’eloquente frase: «Ecco le maglie del Genoa da cui non ripartire». Il messaggio sembra essere stato recepito: la casacca genoana delle ultime due stagioni è semplice, lineare, fedele alla tradizione. In tre parole, gradita ai tifosi.

Lo strappo di Salisburgo    

Se la presenza di un allogeno cromatico ha fatto infuriare i tifosi del Genoa, figurarsi cosa possa accadere laddove un club decida persino di modificare i colori. È accaduto a Salisburgo, dove nel 2005 il colosso Red Bull acquisisce, anzi fagocita la squadra di calcio.

Già, perché il magnate Dietrich Mateschitz decide di modificare il nome da Sportverein Austria Salzburg in FC Red Bull Salzburg. Non sazio, cambia pure i colori: da viola a bianco si passa a biancorosso, un tinta che ricorda quella della celebre bevanda Red Bull. Un parte di tifosi non accetta e sceglie la la strada impervia ma romantica: volta le spalle al nuovo club, nonostante il potenziale ambizioso in termini di risultati, e fonda un club con il vecchio nome partendo dai dilettanti. Non competono in Champions League, ma si sono ripresi la loro identità!

*Il testo dell'articolo è di Federico Cenci. Le immagini, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Shaun Botterill e Gregorio Borgia.

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