Il modello dell’allenatore-manager all’inglese, quello reso famoso – per capirci – da Ferguson al Manchester United e Wenger all’Arsenal, è possibile importarlo in Italia? Parliamo del tecnico che oltre a dirigere la squadra sul campo si occupa direttamente anche di mercato, una specie di direttore sportivo in panchina. È la scommessa – davvero intrigante – che è pronto a fare il Milan di Elliott.
L’ad Gazidis ha scelto Ralf Rangnick per la prossima stagione: niente di ufficiale, ma i contatti vanno avanti da tempo e il club rossonero punta sull’allenatore-manager (appunto) tedesco per il dopo-Pioli.
A meno di colpi di scena, Rangnick firmerà un triennale e inizierà la sua avventura con la società portata in cima al mondo dal suo tecnico preferito, Arrigo Sacchi. Solo che il guru rossonero ed ex ct azzurro era un allenatore-allenatore, viveva di tattica e schemi ripetuti ossessivamente, mentre il “professore” (come lo chiamano) tedesco è un allenatore con esperienze concrete da direttore sportivo: dal 2012 al 2015 è stato il ds addirittura di due squadre, il Salisburgo e il Lipsia, entrambe del Gruppo Red Bull, prima di tornare in panchina (quella del Lipsia).
Insomma Rangnick è abituato a costruirsele da solo le squadre, scegliendo giocatori e portando avanti trattative. Tra scoperte e intuizioni di mercato, il 61enne tedesco ha portato nei suoi club talenti come Luiz Gustavo, Firmino, Mané, il Keita ora al Liverpool, Demme, Minamino e Werner, il giovane centravanti del Lipsia pagato 10 milioni che ora vorrebbe con sé al Milan. Anche perché è difficile immaginare una convivenza tra un tipo come Rangnick, cultore del calcio totale, e quel meraviglioso egocentrico di Ibrahimovic: sarebbero scintille quotidiane. A meno che i due non trovino un compromesso, come accadde all’epoca del Grande Milan tra Sacchi e Van Basten.
IL PRECEDENTE DEL MANCIO
L’esperimento di Elliott si annuncia interessante e ha un precedente illustre dall’altra parte di Milano: sia Mancini che Mourinho sono stati due tecnici in grado di indirizzare concretamente le mosse di mercato, da veri direttori sportivi. Il Mancio aveva iniziato già nell’estate ’99 alla Lazio, quando era incerto se continuare a giocare, come avrebbe poi fatto vincendo lo scudetto 2000, o intraprendere una carriera diversa, da allenatore o appunto direttore sportivo.
Quell’estate Cragnotti gli diede la possibilità di misurarsi come dirigente e lui subito ebbe l’intuizione Simone Inzaghi, portato alla Lazio dal Piacenza. Soprattutto, convinse Cragnotti a cambiare la contropartita proposta da Moratti per avere Vieri: l’Inter, oltre ai soldi, offriva Paulo Sousa, mentre Mancini consigliò al presidente biancoceleste di farsi dare Simeone. Mossa vincente, visto che il Cholo fu decisivo per il trionfo della Lazio nel campionato successivo.
Famose sono diventate le telefonate di Mancini per convincere giocatori a trasferirsi nelle sue squadre. Il Manchester City lo costruì praticamente tutto così, chiamando i vari David Silva, Balotelli e Yaya Touré. Lo stesso era successo in precedenza all’Inter: nel 2006 convinse gli juventini Ibrahimovic e Vieira a passare in nerazzurro, dove i due furono decisivi per gli scudetti vinti nell’era post Calciopoli. Stesso discorso per Cambiasso, soffiato a parametro zero al Real Madrid grazie anche alla mediazione dell’agente Ernesto Bronzetti. E nella parentesi allo Zenit, Mancini aveva concluso l’affare con la Roma per il difensore Manolas: poi saltò tutto perché il greco non accettò il pagamento in rubli.
Anche Mourinho utilizza il suo carisma per concludere operazioni di mercato a favore della squadra che allena. Nonostante il portoghese faccia parte del gruppo di allenatori capaci di far rendere al massimo il materiale umano che ha a disposizione, a prescindere da chi lo scelga, è ovvio che lui preferisca guidare giocatori a lui graditi per caratteristiche tecniche e di personalità.
Successe così, nella stagione dell'imprevedibile, anche per le scommesse calcio, Triplete sulla panchina dell’Inter, con il difensore Lucio (anche se Mou aveva inizialmente puntato su Ricardo Carvalho, bloccato dal Chelsea), il trequartista Sneijder e il fuoriclasse Eto’o: tutti convinti dallo Special One. Dopo di lui, all’Inter, un allenatore-manager fu Leonardo, che nella sua carriera si è sempre alternato tra panchina e scrivania (ora infatti è il direttore sportivo del Paris Saint Germain, dopo essere stato uomo-mercato del Milan).
Lo stesso Antonio Conte è abituato a spingere in maniera quasi ossessiva per avere un certo calciatore: si è visto con Lukaku, vanamente corteggiato ai tempi del Chelsea e finalmente raggiunto all’Inter. Ma in nerazzurro le trattative le imposta il ds Ausilio e le conclude il dg Marotta.
NESSUNO COME LUI
Al Manchester United invece faceva tutto sir Alex Ferguson, capace di formare una squadra super con Cristiano Ronaldo e Rooney ma anche di sbagliare valutazioni, come accadde con il giovane Pogba lasciato andare alla Juve gratis (e poi riacquistato con 105 milioni…). Il saldo però per lui e Wenger, per anni allenatore-manager dell’Arsenal, resta decisamente in attivo. Il loro modo di operare in campo e sul mercato ha influenzato generazioni di allenatori (Pellegrini, Pochettino, Emery e Brendan Rodgers, tra gli altri) che però non avevano e non hanno il loro carisma per eccellere in entrambi gli aspetti.
Gli unici degni eredi dei due maestri, perfino con caratteristiche manageriali e soprattutto di gioco decisamente più moderne, sono quei fenomeni di Guardiola e Klopp. E Rangnick? Gazidis è convinto che l’allenatore-manager tedesco abbia le qualità adatte per svolgere entrambi i compiti al meglio in un club da ricostruire come il Milan, nonostante l’inevitabile pressione che dovrà gestire dopo anni di fallimenti rossoneri. Per capire se si tratti di una scommessa vincente, bisognerà aspettare la prossima stagione: la curiosità è tanta, anche perché Rangnick è davvero un personaggio speciale.
*La foto di apertura dell'articolo è di Martin Meissner (AP Photo).