“Dio è bulgaro e oggi gioca con noi”. Se lo dice uno che si chiama Hristo, va a finire che ci si può anche credere. Poi in realtà quel giorno nell’estate 1994 le volte celesti non guardano con favore alla Bulgaria ortodossa, ma alla cattolica Italia del buddhista Roberto Baggio. Il Codino segna due volte in capo a cinque minuti e spedisce l’Italia alla finale dei mondiali. E a Hristo, che di cognome fa Stoichkov, non resta altro che segnare la rete del vano 2-1 e diventare capocannoniere a fine torneo.
Si potrà comunque consolare qualche mese dopo. L’Italia la Coppa del Mondo non la solleva e il 20 dicembre di quell’anno da France Football la classifica della trentanovesima edizione del Pallone d’Oro recita: Stoichkov, 210 voti, Baggio 136.
Non male per chi quell’anno ha vissuto due delle delusioni più cocenti della sua carriera. Qualche settimana prima del match di New York, il Barcellona di Johan Cruijff, il Dream Team, era stato schiantato ad Atene nella finalissima di Champions League dal Milan di Maldini e Savicevic.
Eppure, grazie alla quarta Liga consecutiva conquistata e all’exploit mondiale della Bulgaria, il numero 8 blaugrana si porta a casa il premio. Da quando è arrivato in Catalogna, del resto, sembra non saper fare altro che vincere, compresa la Coppa dei Campioni strappata alla Sampdoria e quella delle Coppe vinta successivamente. E anche in patria, con la maglia del CSKA Sofia, non si è fatto mancare nulla, con tre campionati e quattro coppe di Bulgaria.
Ma la sua storia non è solo campo. La vita di Hristo Stoichkov, classe 1966, potrebbe tranquillamente diventare un film. Un’infanzia complicata dalle parti di Plovdiv, tra fabbriche e legge del più forte. Il più forte quasi sempre è lui, visto che già da giovanissimo si guadagna un soprannome mica da ridere: “Kamata”, il pugnale. Non un fine pensatore, verrebbe da pensare.
E invece Hristo riesce curiosamente a rimanere in bilico tra un carattere scontroso e un atteggiamento quasi da filosofo. Un misto tra quella genialità che in campo gli fa fare cose pazzesche con il sinistro e una concretezza tutta balcanica che, visto che è già al CSKA, squadra dell’esercito, lo porta ad entrare nelle forze armate (fino a diventare maresciallo) per garantirsi, comunque vada, un futuro.
Il futuro in realtà se lo costruisce con il pallone tra i piedi, anche se rischia che tutto finisca presto, quando ha appena vent’anni. In una doppia finale di coppa di Bulgaria tra il CSKA e i rivali del Levski, succede l’imponderabile. All’andata Hristo ne fa quattro nel 5-0 della sua squadra e al ritorno si presenta in casa degli avversari con sulla schiena proprio il numero quattro invece dell’iconico otto che ne accompagnerà tutta la carriera.
Apriti cielo, a fine partita scoppia una rissa leggendaria che costringe il governo a prendere provvedimenti esemplari. Stoichkov viene radiato. Anzi no, sospeso per un anno, che poi diventano sei mesi. Giusto il tempo di saltare il mondiale in Messico. Per farsi notare, però, ci sono le coppe europee. E quando nel 1989 il CSKA affronta il Barcellona con Stoichkov primo marcatore per le scommesse calcio, Cruijff si innamora di lui.
Gli sconvolgimenti politici danno una mano ai blaugrana e nel 1990 il bulgaro si trasferisce al Camp Nou. Ma persino il Profeta del Gol ha le sue difficoltà a tenere a bada il suo nuovo campione. Le finali di coppa, evidentemente, non piacciono granchè a Hristo, considerando che nella prima giocata in Spagna riesce a dare (volontariamente) un pestone clamoroso all’arbitro Unzuè, che aveva espulso il tecnico olandese. Risultato, sei mesi di squalifica.
Ma, come era facilmente prevedibile, arriva l’amore incondizionato della tifoseria culè, considerando che il fattaccio avviene in un match contro il Real Madrid. La sua esultanza a braccia alzate gli vale un altro soprannome, quello di “Ayatollah”, anch’esso non troppo usuale ma sicuramente esplicativo.
Barcellona diventa casa sua, nonostante molti alti e bassi. I rapporti con Cruijff sono altalenanti, perché neanche un fenomeno, nell’impostazione mentale dell’olandese, può permettersi di mettersi davanti alla squadra. Ma quando a Hristo va di giocare, è uno spettacolo, soprattutto quando gli si affianca un altro talento puro dal carattere particolare: quella tra Stoichkov e Romario è tra le coppie più pazzesche (e pazze) della storia recente del pallone, ma funziona divinamente.
L'avventura in Italia
Il sinistro d’oro del bulgaro e il fiuto del gol del brasiliano regalano al Barça una stagione di trionfi che fa epoca, nonostante la bruciante sconfitta di Atene. Nel 1995 però qualcosa si rompe definitivamente e in estate arriva una notizia clamorosa: Hristo arriva in Serie A.
Il Pallone d’Oro in carica se lo aggiudica, per dodici miliardi, il Parma di Tanzi, che vuole fare di lui il suo uomo immagine per la Parmalat nell’Europa dell’Est e negli Stati Uniti, dove molti se lo ricordano per le prodezze mondiali. La rosa dei ducali fa impressione: Zola, Sensini, Couto, Asprilla, Brolin, Dino Baggio, nonchè quattro giovanissimi futuri campioni del mondo come Buffon, Inzaghi, Cannavaro e Barone. Tante stelle. Troppe, come ha spiegato di recente Hristo.
Il rispetto per il tecnico, Nevio Scala, è assoluto, ma manca la la pazienza. E mentre il bulgaro cerca faticosamente di ambientarsi, mostrando a volte una condizione fisica non proprio ottimale, gli intrighi cominciano a farsi largo nello spogliatoio. Stoichkov non fa nomi, ma in effetti le sue presenze si diradano (31 partite e 7 gol tra campionato e coppe) a e marzo lancia bordate contro il calcio italiano e contro lo stesso Parma, chiedendo la cessione.
Neanche a dirlo, nell’estate 1996 lo riaccoglie il Barcellona, dove trova un’intesa quasi magica con il brasiliano Ronaldo. Il sogno però dura poco con il successo da favoriti per le scommesse sul PSG nella finale di Coppa delle Coppe, perché quando Robson viene esonerato arriva un altro olandese con un carattere non semplice: Louis van Gaal. Il rapporto è così burrascoso che dura pochi mesi, con due sole presenze in Liga.
Meglio tornare in patria, con il suo CSKA, prima di intraprendere uno strano finale di carriera che lo porta brevemente in Arabia Saudita, poi in Giappone per chiudere infine in MLS. Da allenatore, poi, non andrà per nulla bene, tra esoneri e polemiche, che lo portano a darsi alla TV.
Eppure, anche a distanza di decenni, il mito di Stoichkov non accenna minimamente a perdere il suo smalto. L’Ayatollah è ancora amatissimo a Barcellona, ma in generale resta una leggenda del calcio degli anni Novanta. Nonchè, da opinionista, uno di quelli che non ha peli sulla lingua e non si lascia mai sfuggire l’occasione di dire qualcosa di scomodo.
Come quando ha spiegato che non intervisterebbe mai Cristiano Ronaldo, perché lui parla solo con i più grandi. Spocchioso? Forse. Ma in ogni caso…è pur sempre parola di Hristo…
*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Michael Probst e Luca Bruno.