Gli appassionati di calcio della mia generazione, quelli nati tra la fine degli anni Settanta e gli Ottanta, sono cresciuti guardando il cartone animato di Holly e Benji, che oggi conosciamo con il nome originale di Captain Tsubasa. Oliver Hutton, stella del calcio giovanile nipponico e protagonista del cartone, aveva un sogno nel cassetto: diventare un campione e andare in Brasile a giocare, seguendo le orme del grande Roberto Sedinho, il fuoriclasse verdeoro che ha dovuto, suo malgrado, interrompere la sua carriera a seguito di un distacco della retina e, dopo varie traversie si ritrova a casa Hutton ed erudisce il piccolo Holly sui segreti del calcio.
Hutton, nonostante gli importanti successi ottenuti con la nazionale giovanile del Giappone, non prenderà mai quel volo per il Sudamerica. Passando dalla fantasia alla realtà, c’è una persona la cui vicenda calcistica mi ha sempre appassionato, al punto da aver scritto insieme a lui un libro sulla sua vita e la sua carriera: si tratta di Marco Osio, il fantasista dai capelli lunghi e i calzettoni abbassati che è diventato una delle icone del Parma di Nevio Scala che, all’inizio degli anni Novanta, raggiunse la Serie A per la prima volta nella storia e collezionò importanti allori nazionali ed europei, primo tra tutti la Coppa delle Coppe vinta nel 1993 a Wembley contro l’Anversa.
Osio quell’aereo l’ha preso e ha fatto bene, come direbbe De Gregori: un volo che sovverte l’ordine naturale delle cose nel mondo che calcio che hanno sempre visto i brasiliani andare a giocare in Italia e non il contrario. Fine settembre 1995: Marco è senza squadra, dopo il poco fortunato ritorno al Torino (squadra con cui aveva iniziato a giocare) e si allena con i dilettanti del Noceto a Parma, in attesa di una chiamata.
Il telefono squilla, un giorno, e il contenuto della telefonata è il più bizzarro che Osio si possa aspettare: “Marco, verresti a giocare in Brasile?”, gli chiede il presidente della Parmalat del paese sudamericano; e lui accetta. Firma con il Palmeiras, dove si è appena liberato un posto per un calciatore straniero, perché il colombiano Freddy Rincon, di ritorno dal Napoli, si è accasato al Real Madrid. I giornali, le televisioni e i media in generale si interessano subito alla notizia dell’emigrante del pallone, dello Zico alla rovescia, come racconto nel libro.
Non è un caso che la squadra brasiliana che ingaggia Osio sia il Palmeiras: la squadra dei Verdão, così soprannominati per via della loro maglia a strisce verticali bianche e verdi, è stata fondata nel 1914 da immigrati italiani, dopo la tournée in Brasile di Torino e Pro Vercelli, con il nome di “Palestra Italia”. L’organico del Palmeiras per quella stagione è di tutto rispetto: in rosa ci sono giocatori come Rivaldo, Cafu, l’ex torinista Muller, Amaràl, Antonio Carlos Zago, futuro campione d’Italia con la Roma, e molti altri. Una squadra costruita per vincere.
“L’impatto è stato abbastanza violento – mi racconta Marco nel libro -, quando decidi di andare a vivere in un Paese completamente diverso, di cui non conoscevo la lingua, le tradizioni, gli usi, i costumi e il calcio specialmente. Anche se io ho sempre detto che il calcio parla una lingua sola: se sei bravo a giocare, puoi farlo in Italia, in Belgio o in Thailandia, dove vuoi, non devi per forza saper parlare la lingua. Sì, puoi avere difficoltà nelle interviste, ma in campo, bene o male, ti capisci.”
L'ESORDIO
L’esordio ufficiale di Marco con la maglia verdão avviene il 12 ottobre 1995. Lo stesso giorno in cui, più di cinquecento anni prima, un italiano sbarcava per la prima volta sul continente americano, un altro italiano calca per la prima volta nella storia il campo da calcio di una squadra della massima serie brasiliana.
Carlos Alberto Silva, con lo squadrone che ha in mano, non riesce a vincere il Brasilerao 1995 e viene esonerato dalla dirigenza. Al suo posto arriva Vanderlei Luxemburgo, dal Flamengo, e con lui si vede subito che la musica, per Marco, è cambiata, rispetto alla precedente gestione in cui faticava a trovare spazio. A gennaio del 1996, agli inizi della nuova stagione, Marco viene schierato titolare in una delle vittorie storiche del Palmeiras: all’Estádio Plácido Aderaldo Castelo, Castelão di Fortaleza, il 22 del mese, l’avversario di turno sono i Campioni di Germania del Borussia Dortmund che 18 mesi dopo batteranno la Juventus in finale di Champions, per il trofeo amichevole Coppa Euro-America.
Curiosità: la partita si disputa alle 22.45, un orario decisamente inconsueto. Il motivo è semplice: in Brasile chi determina i palinsesti televisivi sono le telenovelas. Se c’è in programma una puntata di uno sceneggiato televisivo, la partita viene spostata a dopo la fine della trasmissione. Strano ma vero.
Il Campionato Paulista 1996 si tramuta in una marcia inarrestabile per i ragazzi di Luxemburgo; una squadra troppo più forte dei suoi avversari, che non sono minimamente in grado di competere con una formazione di tale livello. Il Palmeiras di Marco Osio trionfa battendo tutti i record: realizza ottantatré punti su novanta disponibili, segnando centodue reti e subendone appena diciannove. Il campionato vinto da Marco è il risultato di calcio migliore di tutti i tempi ottenuto da una squadra nel Paulista.
“Una serie incredibile di successi; è stata una cavalcata! – ricorda Marco - Abbiamo vinto con più di venti punti di vantaggio sulla seconda. Certo, bisogna dire che la qualità del campionato era bassa; ricorda molto quello spagnolo di qualche anno fa in cui ci sono Real Madrid e Barcellona e dietro di loro poco altro. Una bella esperienza, vincente, con il titolo statale vinto e la finale della Coppa del Brasile.”
*Molti brani di questa storia sono tratti dal libro “Marco Osio, il Sindaco” di Emanuele Giulianelli; Ed. Officine Gutenberg. La foto dell'articolo è di Andre Penner (AP Photo).