Piccolo, furbo e vince sempre lui. Non c’è da meravigliarsi se, sin da quando è bambino, Dragan Stojković è noto a tutti in famiglia come Piksi. Che volendo è una traslitterazione di “pixie”, folletto, ma deriva invece dal titolo di un celebre cartone animato, “Pixie and Dixie and Mr. Jinks”, in cui una coppia di topolini riesce costantemente ad avere la meglio su un gatto pasticcione.
E anche in campo, spesso e volentieri, andava così. Il piccoletto (1,74m, per i chilogrammi parlano ampiamente le maglie sempre troppo grandi) non avrà avuto un fisico statuario, ma se il pallone gli finiva tra i piedi non c’era modo di toglierglielo. A meno che lui stesso non decidesse di calciarlo in porta o di regalare un assist ai compagni.
La carriera di Dragan, classe 1965, comincia a Niš, in Serbia. Da quelle parti sono abituati a dare i natali a personaggi importanti come gli imperatori Costantino il Grande o Giustino I. E con la maglia del Radnički Niš, ad appena sedici anni, Piksi comincia a far capire che il trono potrebbe prenderselo anche lui. Puntuale come un orologio svizzero, dopo quattro anni arriva la chiamata dalla capitale.
La Stella tra le Stelle
La Stella Rossa Belgrado raduna i migliori calciatori di tutta la Jugoslavia e Stojković non fa eccezione. Di quella squadra piena di campioni, lui è quello che emerge di più a dispetto del fisico. Le sue giocate permettono alla Zvezda di vincere due campionati e a Darko Pančev di laurearsi capocannoniere.
L’estate che però cambia la carriera di Piksi è quella del 1990. In Italia, a poche centinaia di chilometri dalla sua Jugoslavia, c’è il canto del cigno della nazionale balcanica. Pochi mesi dopo da quelle parti cominceranno purtroppo a cantare i cannoni, ma la “Jugo” che si presenta nello Stivale è uno spettacolo. Accanto a Stojković e Pančev ci sono Katanec, Bokšić, Prosinečki, Jarni, Savićević e Šuker, manca solo Zvone Boban che è stato squalificato per un anno dopo gli incidenti tra Stella Rossa e Dinamo Zagabria.
La stella assoluta però è Dragan, che con il suo numero 10 trascina i compagni di forza ai quarti di finale. Le sue due reti contro la Spagna agli ottavi (con una punizione da antologia) illudono una nazione intera, prima dell’eliminazione ai quarti, ai calci di rigore, contro l’Argentina. Tra i tre che sbagliano, c’è anche Stojković. E la sua storia con i tiri dal dischetto non finisce qui.
Subito dopo il mondiale, arriva una chiamata importante. È Franz Beckenbauer, fresco di titolo iridato con la Germania Ovest. Il Kaiser è stato convinto a suon di soldi da Bernard Tapie a diventare allenatore dell’Olympique Marsiglia e ha chiesto il suo acquisto. A venticinque anni, Stojković diventa il numero 10 di un’altra squadra piena di campioni: Papin, Cantona, Waddle, Deschamps, Tigana e Abedì Pelè.
E la stagione 1990/91 sembra decisamente quella della consacrazione. L’OM vince il titolo di Francia e si fa strada fino alla finalissima della Coppa dei Campioni, al San Nicola di Bari. Ma Piksi gioca poco, perché un infortunio al ginocchio lo tiene per parecchio lontano dal campo.
Quando torna, in panchina trova Goethals e soprattutto di fronte, nell’ultimo atto continentale, la “sua” Stella Rossa. La finale è considerata tra le più brutte di sempre e si decide dal dischetto. Stojković, però, si rifiuta. Non può tradire i suoi vecchi compagni. “Se lo sbaglio sono jugoslavo e a Marsiglia mi ammazzano. Se lo segno, non posso più tornare nel mio paese”. Il ragionamento non fa una piega. E alla fine, vincono gli jugoslavi.
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L'arrivo a Verona
Ce n’è abbastanza per una rottura e per un addio inatteso. Ma mai quanto la nuova destinazione di Stojković. Una neopromossa, per quanto dal curriculum importante. Nel 1985, l’Hellas Verona aveva conquistato un clamoroso scudetto. Sei anni dopo tornava in A dopo un anno di purgatorio tra i cadetti. I tre stranieri scelti dal presidente Mazzi sono il rumeno Răducioiu, lo svedese Prytz, già protagonista della promozione, e Piksi, pagato dieci miliardi di lire.
Le aspettative, però, non corrispondono alla realtà. Il ginocchio che lo ha già tormentato negli anni precedenti continua a dargli noie e nella sua unica stagione in Serie A Stojković raccoglie solamente 19 presenze e una rete, in un pareggio esterno ad Ascoli.
Nel mezzo, due rigori sbagliati, con tanto di infortunio sulla ribattuta di uno dei due. Non mancano i problemi disciplinari: nella prima amichevole stagionale arriva un’espulsione con tanto di mega-squalifica da scontare in campionato. Insomma, un’annata da dimenticare. E quando gli Scaligeri tornano in Serie B, anche Piksi decide di tornare indietro.
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Al Marsiglia, però, non è più una delle stelle. E dire che nella stagione 1992/93 arriva per i francesi la gioia della vittoria in Champions League contro il Milan. Stojković quella partita non la gioca per infortunio, così come molte altre nell’annata seguente. Poi l’OM retrocede d’ufficio per il caso Valenciennes e a neanche trent’anni un campionissimo come lui resta senza squadra. E la scelta, anche stavolta, è inattesa. Il Giappone, all’epoca l’ultima frontiera del calcio mondiale.
Il gol dalla panchina
La carriera di Piksi termina nel 2001, dopo sette anni nel campionato del Sol Levante con la maglia del Nagoya Grampus e con in bacheca due Coppe dell’Imperatore. Nel mezzo, un ottimo mondiale 1998, con al braccio la fascia di capitano della Jugoslavia (allora Serbia e Montenegro) e “rubando” di nuovo il numero 10 al rivale Savicevic. In nazionale per Stojković 43 presenze e 6 reti, non proprio il bottino che ci si aspetta da uno dei calciatori più importanti della storia dei Balcani.
Un po’ il riassunto stesso della sua carriera, un susseguirsi di alti e bassi. E quello che poteva essere un Piksi senza infortuni lo si intravede per un attimo, in un video che diventa virale ai tempi dell’esperienza da allenatore del Nagoya Grampus, coronata con la vittoria del campionato nel 2010. Gioco fermo, calciatore a terra, il portiere getta il pallone fuori alla rinfusa.
Ma dalla panchina qualcuno coglie l’occasione: Stojković, che con un tiro al volo da cinquanta metri spedisce la sfera in rete ed esulta tra gli applausi del pubblico. Del resto, essere campioni è come andare in bici. Impossibile dimenticarsi come si fa…
*L'immagine di apertura è di Armando Franca (AP Photo).