E venne il giorno in cui il campione fallì. La letteratura sportiva è piena di storie che riguardano errori clamorosi entrati a pieno titolo nell’indelebile memoria degli sportivi. Il primo esempio che salta alla mente - creando un sussulto al cuore - è senza dubbio il rigore sbagliato da Roberto Baggio nella finale dei Mondiali del 1994 contro il Brasile. Prima di lui, Franco Baresi. Ma lo ricordano in pochi.
Resta l’immagine del Divin Codino, con le mani sui fianchi e la testa abbassata, in segno di resa; in un attimo l’eroe invincibile diventa mortale, tradito dal Fato, beffato da qualcosa di irrazionale rispetto alle capacità fin lì dimostrate. E’ un flash, una foto, un istante che si consegna alla storia. Poi il campione di calcio torna campione, quando l’errore è già Storia.
Tutti i tifosi hanno impresso nella propria mente l’episodio che ha reso umano il fuoriclasse preferito, ricordano data e ora, sanno dire esattamente dov’erano e con chi erano al momento del cataclisma. Il milanista Shevchenko, opzione sempre interessante come marcatore per le scommesse serie A, si perse nella notte di Istanbul - nel 2005 - fallendo una finale di Champions League che sembrava già vinta.
Soltanto due anni prima era stato l’ultimo fromboliere a colpire la porta della Juventus nell’altra finale di Manchester, dove i tifosi bianconeri piansero lacrime amare per gli errori dal dischetto dei propri beniamini, primo fra tutti David Trezeguet, capace tre anni dopo di deludere l’intera Francia, regalando con il suo errore il quarto titolo Mondiale alla Nazionale Italiana.
Roma-Liverpool non si è mai giocata. Il mantra del tifoso medio della Roma è sempre lo stesso da oltre 35 anni. Quella del 30 maggio fu una notte in cui il sogno e l’incubo si tennero per mano, almeno fin quando Alan Kennedy non realizzò il rigore decisivo della finale della Coppa dei Campioni. La Roma giallorossa si era vestita a festa, forte della convinzione che l’opportunità di ospitare la finalissima le avrebbe dato anche il diritto di alzare la coppa.
Al momento della chiamata alle armi, il Divino Falcao passò la mano, sul dischetto andarono Conti e Graziani, due campioni del mondo che furono stregati dal portiere Grobbelaar. Il popolo perdonò Conti e Graziani, non Falcao, il cui mito iniziò a sbriciolarsi quella sera.
Storie di rigori
Un altro poema epico venne scritto - qualche anno prima - dal fantasista bresciano Evaristo Beccalossi, per tutti il Bek. E’ il numero dieci dell’Inter, ha vinto lo scudetto con Bersellini e rappresenta il nuovo che avanza; Beccalossi è croce e delizia dei tifosi nerazzurri, è capace di giocate risolutive, ma anche di prestazioni abuliche; quella contro lo Slogan Bratislava, in Coppa delle Coppe, appartiene senz’altro alla seconda categoria: il risultato è di zero a zero, l’arbitro assegna il rigore.
Sul dischetto va Beccalossi, prova a piazzare il suo mancino, e calcia fuori. Passano quindici minuti, l’arbitro indica ancora il dischetto. Si presenta ancora Beccalossi, il portiere respinge il tiro, poi intercetta l’ennesimo tentativo: non è serata.
Il rigore solitamente racchiude il momento più intenso di una partita, è una sorta di mezzogiorno di fuoco, dove l’attaccante ha il fucile e il portiere soltanto una pistola. «Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto».
Ma non sempre. Per informazioni chiedere allo storico capitano del Chelsea John Terry o a Philippe Bergerôo, portiere del Tolosa chiamato a fermare Diego Maradona. In palio c’è la qualificazione agli ottavi della Coppa Uefa, il fuoriclasse argentino - fresco campione del mondo - prende la rincorsa, arma il suo sinistro e colpisce il palo. Napoli eliminato. Maradona saprà farsi perdonare, a fine anno arriverà il primo - storico - scudetto.
L’argentino che riuscì fare meglio - si fa per dire - fu Martin Palermo, nella Coppa America del 1999; calcia tre rigori contro la Colombia, e li fallisce tutti!
Ma non sono soltanto i rigori a condannare gli eroi con gli scarpini ai piedi; nella finale degli Europei del 2000, l’Italia allenata da Zoff passa in vantaggio contro la Francia, poi ha l’occasione per raddoppiare: capita sui piedi del miglior giocatore azzurro, dell’uomo simbolo, Alex Del Piero. Il talento juventino vola verso la porta francese, entra in area, poi calcia di sinistro fallendo clamorosamente il bersaglio: nonostante per le scommesse sportive, la quota della vittoria degli Azzurri sia ormai bassa, è l’inizio della fine e ci condannerà il Golden Gol.
Altro Europeo, altro errore: basta riavvolgere il nastro di quattro anni. L’Italia si gioca la partita decisiva del girone contro la Germania, Casiraghi conquista il rigore, Zola dal dischetto passa il pallone al portiere Köpke. Ma a sbagliare non sono soltanto gli attaccanti, capita anche ai portieri di passare all’altare alla polvere in un battito d’ali.
E’ il caso di Luis Arconada, leggendario capitano della nazionale spagnola; sono passati 24 anni dall’unico titolo Europeo, la Spagna è nuovamente in finale. C’è la Francia, e c’è Platini che calcia una punizione dal limite: il tiro non è irresistibile, ma passa sotto la pancia del portiere prima di finire lentamente in rete.
Il quarto di finale in Messico
La caduta degli Dei coinvolge in prima persona il fuoriclasse francese che - nell’estate del 1986 - si gioca il passaggio alle semifinali del Mondiale messicano contro il Brasile. Ma prima di vedere all’opera il talento juventino di origini italiane, c’è un altro eroe che cade nella polvere. Si chiama Arthur Antunes Coimbra, per tutto il mondo è Zico. Il campione brasiliano non sta bene, e parte dalla panchina. Entra a venti minuti dal termine, e dopo una manciata di secondi ha la possibilità di chiudere il discorso qualificazione. Si presenta sul dischetto, ma si fa parare il rigore da Bats.
Si va ai supplementari, e poi ai rigori. Zico segna il proprio, Platini lo sbaglia, ma la Francia si qualifica ugualmente.
Messico e nuvole, quelle che per un giorno oscurarono gli Dei Dell’Olimpo calcistico.
*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Jon Super e Sergey Ponomarev.