Quattrocento trentasei partite giocate e venti gol realizzati. Il forte legame tra Aldair e la Roma è testimoniato dai numeri sì, ma non solo da quelli. C’è qualcosa di più profondo nel rapporto tra il centrale difensivo brasiliano e la squadra giallorossa.
Tre o quattro stranieri, sempre una maglia da titolare
Sempre apprezzato in due epoche calcistiche
Pluto: un difensore unico ed inimitabile
Il libro su Alda
Nella sua lunga militanza nella Capitale, Aldair - per i tifosi Alda o Pluto - si è fatto apprezzare per le doti umane. Un campione tra i più immensi che abbiano mai indossato la maglia della Roma: tecnica sopraffina, senso della posizione, abilità nel gioco d’anticipo, ma anche professionalità dimostrata dentro e fuori dal campo.
Campione del mondo con il Brasile nel 1994, Aldair è stato pure campione d’Italia con la Roma nel 2001.
In pieno svolgimento dei campionati europei, a vent’anni esatti dalla conquista del terzo scudetto giallorosso, 17 giugno, esce “Aldair. Il potere del silenzio” (ed. Absolutely Free), un libro che condensa i tredici anni del difensore di Ilhéus nella Roma. Per l’occasione abbiamo intervistato Daniele Santilli, già autore de "L'anno del Flaminio"!
Il titolo del tuo libro fotografa il tratto più peculiare del carattere di Aldair: il silenzio, il riserbo. Quanto questo aspetto ha fatto breccia nel cuore della tifoseria romanista?
Credo che il “potere del silenzio” sia stato l’elemento che ha reso unico Alda. In un mondo in cui tutti non perdono l’occasione di mettersi in mostra, lui ha lasciato parlare i fatti e il pubblico romanista, che sa scegliere i propri eroi, non poteva non apprezzare questa rara qualità.
Quale fu il primo impatto di Aldair a Roma?
Aldair sbarcò a Roma nel bel mezzo di Italia 90; è chiaro quindi che le attenzioni mediatiche in quei giorni magici, erano rivolte a Schillaci e compagni. Nonostante ciò un buon numero di tifosi si recò a Fiumicino per dargli il benvenuto.
C’era un grande entusiasmo, poiché dopo la sofferenza economica, derivata dalla chiusura dell’Olimpico, a causa dei lavori in vista dei mondiali, il presidente Dino Viola era tornato a investire fortemente sul mercato, con l’intenzione di far risalire la Roma ai fasti dei primi anni 80.
Nessuno poteva sapere che quello di Aldair avrebbe rappresentato il suo ultimo grande colpo, ma ciò probabilmente influì sulla magia che accompagnò il percorso del brasiliano nella Capitale.
Quando scoccò la scintilla dell’affetto reciproco tra tifosi e calciatore?
L’inizio dell’avventura di Alda a Roma fu problematica. Il tecnico Ottavio Bianchi attuava uno schieramento molto rigido in fase difensiva che prevedeva la marcatura a uomo, sistema sino a quel momento sconosciuto a Pluto.
Furono per lui mesi difficili in cui le problematiche si acuirono con la scomparsa del presidente Viola, che lo aveva accolto come un figlio. La grande forza di volontà del calciatore ebbe comunque la meglio e dopo una corsa sotto la curva Sud, a seguito di una rete realizzata contro il Torino, ebbe inizio una grande storia d’amore con la tifoseria ad oggi ancora viva.
Eppure c’è stato un periodo, prima della sentenza Bosman del 1995, che Aldair era quasi considerato un peso…
Nell’estate del 1992 fu introdotta la possibilità di tesserare un numero illimitato di stranieri, anche se in campo ne potevano essere schierati solo tre. La Roma, fino all’anno della sentenza Bosman, ne tesserò sempre quattro ed in ogni sessione di calciomercato si parlava di un’eventuale cessione di Aldair, che avrebbe rischiato di non trovare spazio.
In realtà poi i fatti dissero altro: tutti i tecnici che si sono succeduti sulla panchina giallorossa puntarono su Alda costantemente, come pilastro insostituibile della difesa e in tribuna finirono spesso attaccanti e centrocampisti, arrivati con il clamore mediatico per poi essere relegati a un ruolo di comprimari.
Tra i ricordi degli ex compagni di squadra di Aldair che hai raccolto nel libro, quale ti è rimasto più impresso?
Ho coinvolto in questo racconto un calciatore per ogni epoca calcistica della carriera di Pluto in giallorosso. Alessio Scarchilli mi ha aiutato nella narrazione degli anni di Mazzone e devo dire che la sua disponibilità è stata preziosa per riportare alcuni aneddoti simpatici accaduti in quel periodo. Credo che abbia influito positivamente l’amicizia che c’è fra i due da molti anni.
In tredici anni di militanza nella Roma, Aldair ha attraversato due epoche del calcio molto distanti tra loro, riuscendo a mantenere un livello in campo sempre altissimo. Quale era il suo segreto?
Anzitutto una grandissima professionalità. Alda si è allenato con la stessa dedizione sia nelle esperienze con la Nazionale che lo hanno portato a laurearsi da favorito per le scommesse calcio campione del mondo, sia nei momenti in cui con la Roma si poteva raggiungere a malapena il sesto posto.
Il “potere del silenzio” poi, gli ha imposto di dedicarsi solo ed esclusivamente al campo, non disperdendo energie in chiacchiere e polemiche, come magari qualche suo ex compagno ha fatto, e ciò lo ha reso unico.
Calcisticamente e caratterialmente, quanto Brasile c’è in Aldair?
A livello calcistico credo che sia raro ancora oggi vedere un difensore dotato di una tecnica sopraffina come la sua. A livello caratteriale mi è stato descritto, da chi lo conosce bene, differentemente dalle apparenze.
La riservatezza, l’educazione, la timidezza sono caratteristiche che lo contraddistinguono, ma chi con chi ha confidenza emerge lo spirito brasiliano di Alda caratterizzato da gioia e spensieratezza.
C’è un difensore oggi in attività che ti ricorda Aldair?
Ci penso spesso quando vedo l’ostinazione ad impostare il gioco dal basso, anche da parte di chi non avrebbe i mezzi tecnici per farlo. Così a volte mi è capitato di commentare con chi vede le partite accanto a me, dicendo “Ma chi si sente questo? Aldair?”. Ciò significa che a distanza di 18 anni dal suo addio alla Roma, non ho ancora visto qualcuno in grado di non farcelo rimpiangere…
*Il testo dell'intervista è di Federico Cenci. L'immagine di apertura è di Hans Deryk (AP Photo).